(1) C. M. 20 febbraio 1964, n. 6: Compiti scolastici da svolgere a casa e in classe.
“Alla formazione culturale dell’alunno concorrono sia l’azione didattica, attuata nella più viva collaborazione tra docente e discenti, sia il ripensamento individuale realizzato con lavoro personale dell’alunno a casa. Ma di questi due momenti della preparazione culturale il primo è quello che più profondamente e durevolmente incide nello spirito dell’alunno; se esso difetta, difficilmente l’altro momento potrà consentirne un integrale recupero. (…) Costringere i giovani ad aggiungere alle quattro o cinque ore di scuola altrettante, o anche più, ore di studio individuale a casa, oltre agli eventuali riflessi dannosi sotto il profilo igienico, contribuisce a determinare una preparazione lacunosa (per le scelte inevitabili che i giovani sono indotti di volta in volta a fare, quando non possono fronteggiare l’intero sovraccarico) e precaria, per l’impossibilità di una serena e approfondita maturazione delle conoscenze. (…) L’esigenza di dosare opportunamente il lavoro scolastico non concerne soltanto i compiti da eseguire a casa, ma anche quelli da eseguire in classe, allo svolgimento dei quali un malinteso rispetto degli orari prestabiliti induce talvolta il docente a non attribuire il tempo necessario. Tali compiti sono in effetti particolari forme di lavoro individuale indispensabili per la formulazione di quei giudizi, che la scuola deve pur esprimere.
(2) C.M. 30 ottobre 1965, n. 431 – dopo le Interrogazioni parlamentari sui compiti a casa.
“Un sovraccarico degli impegni di studio o la concentrazione di essi in alcuni giorni nuoce alla salutedei giovani, sia al processo di maturazione culturale, che non può essere costretto in schemi innaturali. Peraltro non si ritiene ora possibile fornire più particolari indicazioni o imporre drastici divieti, senza interferire indebitamente nella responsabilità che è deferita agli insegnanti di sviluppare i programmi e di formare convenientemente i loro alunni. Prescrizioni drastiche in materia sarebbero, d’altra parte, inopportune in rapporto alla varietà di condizioni in cui si compie l’insegnamento e alla necessità di contemperare le varie e non sempre concordi esigenze delle famiglie”.
(3) C. M. 14 maggio 1969, n. 177 sul riposo festivo degli alunni.
“(…) L’incidenza sempre più viva ed efficace sui giovani delle manifestazioni collaterali non proprie della scuola, quali le attività sportive, ricreative e artistiche, inducono a considerare da un angolo visuale più ampio tutti i fattori e le componenti che concorrono, insieme e ad integrazione della tradizionale preparazione culturale dei giovani ai fini meramente scolastici, alla crescita e al completamento della personalità in vista dei successivi traguardi che la vita porrà dinanzi a ciascuno di essi. (…)Non deve accadere che i libri di testo prevalgano sulla percezione del mondo esterno che ogni studente deve aver modo di cogliere e di elaborare, libero dell’ambito scolastico”. (…) Inoltre, va considerato che nelle giornate festive moltissime famiglie italiane, trovano l’unica occasione di un incontro dei propri membri più disteso nel tempo. (…) Questo Ministero (ndr.: Aggradi) è venuto nella determinazione di disporre che agli alunni delle scuole elementari e secondarie di ogni grado e tipo non vengano assegnati compiti scolastici da svolgere o preparare a casa per il giorno successivo a quello festivo, di guisa che nel predetto giorno non abbiano luogo, in linea di massima, interrogazioni degli alunni, almeno che non si tratti, ovviamente, di materia, il cui orario cada soltanto in detto giorno”.
Di recente Giuseppe Fioroni (2006-2008) in un’intervista a La7 dichiarava che “i compiti dovrebbero essere svolti prevalentemente in classe, in modo che a casa i ragazzi possano interessarsi anche ad altro: sport, gioco, varia socialità, natura…” E proponeva l’istituzione di una commissione di esperti per dare lumi e indicazioni al riguardo. Ancora stiamo ad aspettare quei risultati pedagogici e didattici.
E’ certo comunque che la scuola della ripetizione, di quello che si apprende durante le lezioni ex cathedra, è obsoleta ed imparare a memoria, senza capire nulla, è arte robotica di bassa lega. I docenti dovrebbero insegnare ai discenti un valido metodo di studio, possibilmente personalizzato. E se “studère” in latino vuole dire anche amare, essere studenti è amare la cultura, libera-mente. Deve scattare negli alunni l’interesse allo studio, come una inquietudine agostiniana. La necessità dell’esercizio costante per progredire in qualcosa deve essere pensato come un imperativo categorico kantiano e non come un ordine hitleriano. “Non multa sed multum”, non studiare molte cose, ma molto bene (Quintiliano, Instit., X, I, 59).
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