Le scuole italiane sono alle prese, in questi giorni, con le comunicazioni degli esiti dei corsi di recupero alle famiglie degli studenti. La normativa vigente (OM 92/2007 e ss.mm.ii.) prevede che le attività di recupero, che si sono generalmente svolte in modalità da remoto a causa dell’emergenza Covid e che sono finalizzate al tempestivo recupero delle carenze rilevate per gli studenti alla fine degli scrutini intermedi, si concludano con “verifiche volte ad accertare l’avvenuto recupero, del cui risultato si dà puntuale notizia alle famiglie”.
E qui sorge il problema. Alcune scuole, evidentemente dimentiche di un fondamentale diritto dei nostri alunni, solennemente proclamato nello “Statuto delle studentesse e degli studenti” (DPR 249/1998), invece di contribuire a fare chiarezza in un momento in cui già il caos regna sovrano, “mettono legna sul fuoco”, accrescendo disorientamento e confusione. Le famiglie vedono, infatti, recapitarsi comunicazioni “sibilline”, che veramente rasentano il paradosso, del tipo: “debito parzialmente recuperato”, dove quel “parzialmente” fa palesemente a pugni con la parola successiva. Invece di dire “pane al pane e vino al vino”, si preferiscono comunicazioni poco chiare, se non proprio fuorvianti, sicuramente ossimoriche.
Che cosa significa quel “parzialmente recuperato”? Un alunno che alla fine dello scrutinio intermedio non ha conseguito gli obiettivi minimi di apprendimento, vale a dire un livello sufficiente di conoscenze, abilità e competenze, dopo aver svolto le attività di recupero organizzate dalla scuola, è riuscito oppure no a raggiungere la sufficienza? O è possibile affermare che sono parzialmente arrivate al sei? Le famiglie hanno diritto a una comunicazione chiara e inequivocabile, non hanno bisogno di eufemismi insulsi e farlocchi i quali non fanno altro che aumentare la confusione, oltre che contribuire a screditare un’istituzione che è e deve continuare a essere un punto di riferimento per le giovani generazioni e per l’intera nostra società.
Che questo “attardarsi nelle parole ambigue e sfuggenti nasconda la paura dell’azione”, come paventava qualche decennio fa Cesare Marchi in quel capitolo del suo popolare libro “Impariamo l’Italiano” significativamente intitolato “ Il dolce dir niente”? Se gli alunni hanno diritto a una “valutazione tempestiva e trasparente”, come afferma lo Statuto delle studentesse e degli studenti ( all’articolo 2, comma 4), perché nascondersi dietro questo dire e non dire, in spregio a ogni docimologia? Le comunicazioni alle famiglie e agli studenti siano chiare, esplicite, evidenti, soprattutto ispirate al buon senso che non guasta mai, senza finzioni e simulazioni; solo così si potrà facilitare l’attivazione di quell’auspicabile e fruttuoso processo di autovalutazione che condurrà i nostri studenti “a individuare i propri punti di forza e debolezza e a migliorare il proprio rendimento”.
Approssimandoci alla più importante festività cristiana, ci sembrano un’ideale conclusione le parole del Maestro: “ Sia il vostro parlare sì,sì, no, no; il di più viene dal Maligno”.
Andrea Canonico
Giuseppe Scafuro