«Uno su tre sarà assunto? La verità è che due su tre resteranno fuori. Ci hanno già valutati, per lo Stato siamo abili all’insegnamento. Perché dobbiamo sottoporci a una nuova prova?»
La Stampa dà voce a una docente, una degli oltre 150 mila candidati al concorso del 28 aprile: 46 anni, docente precaria da 13.
«Ho una laurea in architettura, per alcuni anni ho lavorato a Napoli, la mia città d’origine, come libera professionista. Poi l’amore mi ha portata a Torino, dove mi sono avvicinata per la prima volta all’insegnamento».
«C’era sempre molta richiesta di insegnanti di tecnologia, così ho potuto concedermi il lusso di scegliere in quale scuola andare. Da sei anni sono all’istituto comprensivo Chieri 1, ho concluso due cicli interi, porto avanti progetti lunghi, vedo crescere i ragazzi».
Il periodo più difficile lo vive nel 2014, quando si iscrive ai corsi per conseguire il Pas, il percorso abilitativo speciale riservato ai docenti con 360 giorni di esperienza. «Al mattino insegnavo a scuola, nel pomeriggio seguivo le lezioni al Politecnico e la notte studiavo».
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Finché a un certo punto crolla: «Mentre preparavo uno degli ultimi esami sono finita in pronto soccorso per un malore da sfinimento. Soltanto la passione per questo lavoro mi ha dato la forza di non mollare».
I precari abilitati intanto insistono sull’iniquità di questo concorso e alcuni arrivano a minacciare il boicottaggio.
«La mia storia – continua la docente – è uguale a quella di migliaia di insegnanti: siamo nella scuola da anni, abbiamo investito moltissimo, in termine di tempo e denaro. La paura adesso è di aver faticato invano».
La spada di Damocle è un comma della legge sulla Buona Scuola che vieta di rinnovare i contratti a termine oltre i 36 mesi. «Se non dovessi superare questo concorso ho la prospettiva di altri tre anni da precaria per poi dover ricominciare ancora una volta da zero, alla soglia dei 50 anni». Luciana ha gli occhi pieni di rabbia e fatica a trattenere le lacrime: «Il mio futuro è appeso a quelle 8 domande».
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