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Con cellulari e smartphone spenti più attenzione in classe, vale pure per i docenti: dubbi però sul modello Malpighi in tutte le scuole

Sugli smartphone vietati scuola non c’è alcun ripensamento: l’ex sottosegretaria Elena Ugolini, oggi Rettrice del Liceo Malpighi di Bologna, spiega che la sua scuola è soddisfatta della decisione di introdurre, dallo scorso settembre, il divieto di utilizzo del telefono cellulare in classe, regola valida sia per i ragazzi sia per gli insegnanti. Una regola, tra l’altro, che già esiste da tre lustri, introdotta da una circolare ministeriale del 2007.

Come si è giunti al Modello Malpighi

La decisione, giunta dopo un confronto anche con esperti e neuropsichiatri, è stata approvata all’unanimità dal collegio dei docenti e inserita nel regolamento d’istituto della scuola bolognese: i telefoni cellulari vengono messi in un cassetto all’inizio delle lezioni e restituiti al suono dell’ultima campanella.

“Questi primi mesi sono andati bene; ragazzi e docenti sono più concentrati sul presente e sull’altro”, ha detto Ugolini.

Un concetto espresso anche da una studentessa, che qualche settimana fa ha lodato l’iniziativa intrapresa perché anche gli insegnanti sarebbero “più concentrati e meno sospettosi”.

Ministri pro e contro

Della sperimentazione è contento anche il nuovo ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, che non ha nascosto l’intenzione di allargare il “modello Malpighi” in tutti gli istituti scolastici d’Italia. “Via i cellulari dalle classi nelle ore di lezione”, ha detto il numero uno del dicastero bianco di Viale Trastevere.

I tempi della ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli, più tollerante verso l’uso dello smartphone in classe, con le scuole libere di scegliere (attraverso gli organi collegiali)  sembrano lontanissimi.

Un’altra ex ministra, Mariastella Gelmini, invece non ha mai nascosto la sua ostilità verso l’uso dei telefoni cellulari in ambito scolastico, tanto da proporne la proibizione con un disegno di legge.

Intermedia, invece, si era potrebbe definire quella dell’ex ministro leghista Marco Bussetti, che aveva dato l’assenso solo per l’uso prettamente didattico.

In alcuni Paesi, noi “vicini”, invece l’utilizzo degli smartphone in classe è stato bandito da tempo. Come in Francia.

Qualche giorno fa, sempre Valditara aveva annunciato l’allestimento di un gruppo di esperti per l’Autorevolezza e il Rispetto, per “mettere a punto misure per valorizzare l’autorevolezza degli insegnanti, garantire il rispetto dei medesimi, dei compagni e dei beni pubblici da parte degli studenti”.

I vantaggi dell’operazione

In una video-intervista all’Ansa, Ugolini spiega che “tra docenti e studenti è nata una collaborazione sulle ragioni per cui ci siamo chiesti di lasciare quel cellulare dentro il cassetto dell’aula prima di iniziare le lezioni – spiega – queste ragioni sono emerse subito davanti agli occhi di tutti: ragazzi e docenti più concentrati sul presente, sull’altro, sia durante la ricreazione, nei momenti di passaggio ma anche durante l’ora di lezione”.

Alcuni studenti confermano l’esperienza positiva: “All’inizio ho sentito un po’ la differenza, mi veniva da cercare il telefono a ricreazione, ma già dopo una-due settimane mi è sembrato tutto normale: socializziamo di più, i corridoi a ricreazione sono pieni, è una cosa molto positiva”. “Questa scelta mi ha fatto rendere conto che il cellulare è uno strumento che mi serve, ne ho bisogno – confida Federico – ma posso vivere senza esserne dipendente; stando sei ore a scuola senza cellulare, ho capito che si possono anche avere momenti in cui non si usa, mentre prima avevo bisogno di averlo sempre vicino”.

La prof: il cellulare confisca la libertà

Il consenso per la messa a bando degli smartphone a scuola si coglie anche tra i docenti. “Nel nostro liceo si è trattato di una scelta condivisa, ho perplessità sull’imposizione dall’alto”, ha detto Mila Ferroni, professoressa d’italiano e latino sempre al Malpighi di Bologna.

“Sono sempre stata molto favorevole al divieto durante le ore – ha detto all’Ansa – non perché io pensi che si educhi confiscando la libertà, anzi, io sono convinta che si debba puntare sulla libertà dei ragazzi per educare, ma è il cellulare a confiscare la nostra libertà, quindi per me era necessario che sia i ragazzi sia noi insegnanti facessimo un’esperienza di libertà del cellulare”.

Sull’opportunità che la regola possa essere generalizzata, per tutte le scuole, sembra però esserci qualche dubbio.

“Noi questo percorso lo abbiamo proprio fatto insieme” agli studenti, “non solo perché anche noi abbiamo il cellulare spento, ma perché ne abbiamo parlato molto. Un’imposizione dal punto di vista governativo potrebbe non sortire lo stesso effetto positivo”.

Altrimenti, propone la docente, “bisogna che questo diventi un compito dei professori, quello di accompagnare i ragazzi alle ragioni di questa decisione, quindi anche i prof devono averle chiare”, ha concluso Ferroni.

Alessandro Giuliani

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