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Con i mei occhi: romanzo di Gandolfo su una Sicilia ancora poco descritta

È senza dubbio un romanzo corale, esplorato e descritto da più voci, dentro una sorta di crogiolo storico nel quale si narra la storia di Maricchia e Cheli, contadini dell’entroterra siciliano, acchiappati in quella fase in cui molti paesi siciliani subiscono il trapasso repentino dal medioevo all’età moderna. Che fu una transizione profonda, nella quale vengono messi in discussione retaggi e tradizioni antichi, come i rapporti tra marito e moglie, fra maschio e femmina, all’interno dei quali la donna ha subito un ruolo subalterno, come è capitato a Maricchia nei confronti di un Cheli, fermo alla cultura ereditata da secoli di predominio, se così si può chiamare, del padre-padrone.  

Che se ha accenni ancora riscontrabili nella cronaca, nel romanzo rivivono come racconti insieme ad altri sussurrati attorno al focolare; eventi sentiti lungo le trazzere percorse dai carrettieri come compare Alfio e quindi seminati sui campi del ricordo e della memoria collettiva e personale. E poi c’è il mondo rurale, contadino, quello descritto da Verga ma pure dai grandi romanzieri francesi del realismo, quando indugiano sui magri raccolti o tra i rapporti col vicino, come Maupassant o Zola. 

Un universo, quello rappresentato da Lina Gandolfo, nel suo “Coi miei occhi”, Euno Edizioni, 14,00 €, legato alla terra e ai suoi lavori, mentre qua e là appaiono parole dialettali che però non tentano mai assimilazioni con chi del siciliano ha fatto una sorta di lingua letteraria particolare e identitaria, come operato da Camilleri. 

Più che l’intreccio, nel romanzo si apprezza la descrizione dei luoghi, la sottigliezza nel riprendere le saggezze e le intemperie contadine legate alla terra e ai suoi lavori, mentre appare uno squarcio di storia poco indagato finora, quello appunto del passaggio fra una società ancora arcaica e l’altra che incomincia a premere con lo sbarco degli americani nel 1943 in Sicilia, soppiantando antichi valori e antiche certezze, sotto le nenie del benessere e pure della prossima fuga verso l’estero o il nord su spinta del cosiddetto benessere.

Ma colpisce pure lo stile che Gandolfo usa per dare voce ai suoi personaggi, a questo universo sotterraneo che della terra ha fatto il luogo privilegiato della propria esistenza: limpido ed essenziale, come la vita semplice dei contadini, senza retorica o barocchismi, mentre ogni capitolo si apre con epigrafi che annunciano in qualche modo ciò che dovrà succedere.  Piccole gemme di sapere contadino e della sua cultura che poi i cantastorie recitavano nelle piazze.

Pasquale Almirante

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