Scorrendo le testate giornalistiche, o seguendo i profili social di questo o quel politico emerge un grande interesse per la scuola. Tutti la mettono al centro dei loro interventi, specie in questo periodo di “lockdown”.
Le affermazioni si susseguono giornalmente e si inseguono senza sosta, volte più ad accaparrarsi le simpatie di qualcuno, ma di fatto restano solo dichiarazioni che non trovano sbocco nella realtà.
Chi dichiara che bisogna ridurre il rapporto alunni classe ed eliminare le classi pollaio; chi dichiara che è urgente coprire le cattedre entro settembre al fine di garantire un ordinato avvio dell’anno scolastico, ma con quali docenti le affermazioni si contraddicono mettendo i docenti l’uno contro l’altro.
Alcuni affermano che bisogna nominare in ruolo chi ha tre anni e più di servizio non di ruolo, altri sostengono che non bisogna fare sanatorie e che bisogna attivare i concorsi, altri affermano la necessità di operare una selezione dei più bravi, altri ancora affermano che bisogna migliorare la preparazione dei docenti, altri affermano che lo stipendio dei docenti è miserevole e che bisogna adeguarlo agli stipendi europei.
Altri ancora affermano che chi decide alla fine sono i tribunali dove i ricorsi si ammassano come foglie secche in autunno.
E per finire c’è chi se la prende con gli allievi che durante le lezioni a distanza invece di seguire le spiegazioni fanno altro.
Tutti parlano, fanno dichiarazioni di cambiamento per non cambiare nulla, e gattopardianamente tutto cambia per non cambiare niente.
Così l’argomento scuola diventa al centro del parlare, tipo dibattito da bar, ma nella realtà resta la cenerentola della società.
La scuola non ha bisogno di dichiarazioni, ma di azioni concrete volte migliorare il servizio, garantire non solo i precari, utili in tempi di magra e di grosse difficoltà come in questo periodo, ma anche il personale di ruolo, nella prospettiva di ritornare a far primeggiare i reali valori della democrazia e della Persona quale suo elemento fondante.
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