“Seguire i soldi” è sempre la via maestra, nella lotta alla mafia come in politica o nella vita quotidiana, per capire quali sono i veri scopi delle persone. Per questo governo, i soldi si spostano non verso la scuola, ma lontano da essa: nei prossimi 3 anni ci saranno 4 miliardi di euro in meno per l’istruzione e – cosa più grave – 1,3 miliardi di essi verranno tolti ai fondi per il sostegno ed il supporto agli alunni con Bisogni Educativi Speciali.
Non serve neanche stare ad elencare le conseguenze nefaste di scelte come queste, perché chiunque può immaginarle, a partire dai genitori dei ragazzi con disabilità (che quotidianamente invocano – al contrario – aiuto, tutela e maggiori investimenti) passando per tutti coloro che lavorano nella scuola e anche per qualunque persona di buon senso.
Questa scelta si inserisce in una politica che non da ora, bensì da anni, è terribilmente miope, da anni sottrae risorse all’istruzione e alla ricerca – ma anche alla sanità pubblica – per concentrarsi su mancette elettorali e regalie ad amici privati, svendendo di fatto il futuro del Paese e di quegli stessi giovani che oggi frequentano le nostre scuole.
La finanziaria appena approvata costituisce, dunque, un ulteriore passo verso la distruzione della scuola pubblica, verso l’esclusione dei ragazzi che andrebbero inclusi, verso la diffusione dell’ignoranza che genera povertà e non ricchezza in un Paese. Qualunque docente lo sa. E chiunque sa che seguendo i soldi non si arriva mai agli insegnanti, anche perché gli insegnanti non inseguono i soldi.
Noi siamo una categoria strana, forse non siamo neanche una categoria. Consideriamo questa professione una vera e propria “missione” a cui dedicare tutte le nostre risorse personali, sbagliando, perché siamo innanzitutto dei professionisti che vanno retribuiti degnamente per quello che fanno e per l’importanza strategica del proprio lavoro. Anzi, proprio il nostro sentirci “missionari” è stato da sempre – e soprattutto ultimamente, viste le recenti dichiarazioni del ministro Bussetti – lo strumento grazie al quale i governi non ci hanno mai riconosciuto aumenti salariali degni di questo nome e, soprattutto, hanno sempre più diminuito le risorse complessivamente destinate all’istruzione, spostando i soldi – sempre meno – come al gioco delle tre carte, da una voce all’altra: togliere fondi al personale e spostarne (un po’ di meno) sul funzionamento e poi da qui all’edilizia per spostarne di nuovo. Perché aumentare i fondi alla scuola, quando nessun istituto si fermerà mai, dal momento che insegnanti e personale ATA sono pronti a rimetterci del loro, pur di farlo funzionare?
E invece no. Invece per la scuola e per i suoi lavoratori occorrono risorse, tante. La buona volontà e la vocazione non bastano, da sole, a fare un’istruzione che sia davvero di qualità.
Tuttavia, nonostante gli stipendi abbondantemente sotto la media UE, a causa del nostro peculiare sentirci “vocati”, è difficile portare in piazza noi docenti perché non vogliamo far perdere il giorno di lezione agli studenti, per non “restare indietro”. Sembra che ormai i sindacati lo sappiano e infatti ci mobilitano sempre meno (e se ne comprende la ragione).
Tuttavia, dobbiamo mobilitaci tutte e tutti; dobbiamo mobilitarci quando ci tolgono anche un solo centesimo per il sostegno e per l’assistenza ai ragazzi con BES (e ci hanno tolto 1,3 miliardi!), quando gli USR ci costringono a fare classi di 28 alunni anche in presenza di disabili “perché i soldi non ci sono”, quando la scuola pubblica rischia di essere disgregata dalla regionalizzazione, quando la politica attacca la nostra libertà di insegnamento cercando di costringerci a dare o non dare i compiti, a parlare o non parlare di Dio in classe, addirittura – come avviene con lo scandaloso caso del sindaco di Frosinone – a fare la settimana corta per ordinanza, in virtù di ragioni ambientali, senza discutere affatto delle esigenze didattiche.
Per un docente, combattere per questi temi significa dare un messaggio davvero educativo e civico agli studenti e queste sono battaglie che gli insegnanti possono combattere insieme ai genitori, al personale ATA, agli assistenti specialistici, insomma insieme a tutti coloro che costituiscono la comunità educante dei nostri giovani.
I tagli previsti dalla legge di bilancio saranno a pieno regime dal 2020. Abbiamo ancora un anno davanti a noi: questo 2019 che sta per iniziare. Per questo lo chiediamo forte: mobilitiamoci! Mobilitiamoci tutti!
Come Comitato Scuola di Possibile chiediamo che chi si oppone alle politiche sulla scuola di questo governo si unisca finalmente in piazza per difendere ciò che della scuola più ci interessa: la didattica. Chiediamo che sindacati e politica si uniscano, nel rispetto reciproco dei ruoli, in questa battaglia finalmente lungimirante.
E che sia un 2019 che abbia alla base la scuola, che intorno ad essa ci veda attivi tutti, lavoratori, genitori e studenti, in una comune battaglia per il futuro dei nostri ragazzi e dunque del nostro Paese.
Sandra Penge – Comitato Scuola Possibile
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