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Concorsi docenti: il nuovo sistema di reclutamento non individua davvero le capacità di un insegnante

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Sono un docente di sostegno che si è specializzato presso l’università Mediterranea di Reggio Calabria, laureato in giurisprudenza e con un passato da avvocato. La scuola mi è sempre piaciuta perché ho sempre pensato che insieme alla famiglia costituisce l’esperienza umana più importante e basilare per formare un cittadino modello. Nel 2002 ho conseguito, inoltre, l’abilitazione sulla materia, classe di concorso A046 ex A019 (discipline giuridiche ed economiche).
Quando ho svolto gli esami, in qualsiasi concorso cui ho partecipato, ho dovuto studiare, conoscere gli argomenti ed affrontarli mediante prove scritte e orali.

Le prove scritte, riguardo all’insegnamento, erano costituite da tracce che bisognava sviluppare e di cui non si sapeva l’argomento fino al giorno dell’esame. In questo modo si poteva comprendere innanzitutto la capacità di scrivere in italiano corretto, poi la conoscenza degli argomenti ed infine la capacità di sviluppo critico dell’esposizione. Questo modo di operare non era certo perfetto ma aveva una sua logica in quanto ripercorreva il percorso dell’esaminando con metodi sostanziali.

Oggi assistiamo ad uno stravolgimento del mondo della scuola che ha toccato l’apice con la riforma del Governo Renzi, la famosa legge 107 del 2015. Gli esami scritti per diventare docente vengono svolti attraverso prove computer based ed unità didattiche di apprendimento, le cosiddette Uda. Esse altro non sono che un modello da seguire in cui vanno inseriti dei dati che si riferiscono a prerequisiti, competenze, strategie, metodologie didattiche, verifiche e valutazioni con griglie. L’orale viene svolto mediante una lezione simulata effettuata dal docente. Tale sistema, seppure può apparire innovativo, non individua nel modo più assoluto le capacità di un docente, innanzitutto perché risulta troppo schematico e riproduttivo in serie. Risulta inoltre completamente assente il pensiero critico del docente e un’analisi sostanziale della situazione degli alunni. Vieppiù: viene data centralità alle competenze piuttosto che alle conoscenze.

Ciò vale per i docenti e per i discenti, gli uni privi della competenza ad insegnare (in tale caso sì che conta la competenza, ultimo gradino della scala che porta all’aspetto professionale), gli altri privi e basta. La scuola concepita come moderna, purtroppo, è stata realizzata a colpi di riforme proprio dalla generazione che ha vissuto il ’68, quella generazione che puntava al pensiero critico, senza accorgersi che ogni forma di progresso e modernità necessita di solide basi di conoscenza, senza le quali non si va da nessuna parte. L’aver introdotto la scuola dell’apprendimento significativo in sostituzione di quello puramente trasmissivo è un passaggio corretto per rendere attiva la partecipazione degli alunni alla vita scolastica ma pur sempre non può prescindere dall’acquisizione di determinati concetti, seppur attraverso compiti di realtà. Pertanto le vicende di docenti e alunni si intrecciano e danno vita ad un nuovo percorso educativo che diventa più elastico ma anche tremendamente vacuo. Gli interessi in gioco sono tanti e prevaricano il bene della comunità scolastica. I provvedimenti assunti da questo Governo riassumono nel peggiore dei modi l’abbassamento del livello della scuola, basti pensare alla vergognosa scelta di inserire a pettine nelle graduatorie provinciali delle supplenze coloro che sono in possesso di un titolo estero non ancora riconosciuto valido, quando, allo stesso tempo, molti ambiti territoriali stanno risolvendo i contratti per mancanza di validi e legittimi requisiti. Una sanatoria che continuerà con la piattaforma Indire dando spazio a chi ha usato scorciatoie per ottenere abilitazioni e specializzazioni.

Il ministro Valditara giustifica tale operazione con la necessità di avere più docenti specializzati. Peccato che già ci sono e sono quelli col titolo acquisito in Italia, che si vedranno scavalcati nelle graduatorie. Il male purtroppo sta all’origine quando si è acconsentito, anche coi governi di centrosinistra, all’apertura del mercato dei diplomi e delle lauree tramite le scuole paritarie e gli atenei telematici.

Le stesse abilitazioni sulle materie sono state subordinate all’iscrizione presso gli atenei col pagamento di laute somme, in totale spregio del diritto allo studio previsto dalla Costituzione. Quando si è abilitato il sottoscritto si pagava una minima quota, allora circa cinque o diecimila lire, oggi se vuoi diventare insegnante sei costretto a spendere circa due o tremila euro per acquisire gli inutili Cfu. La perversione sta nel fatto che il sistema consente di superare quasi sempre l’esame, visto l’esborso di denaro, con conseguente annesso silenzio di tutti gli operatori della scuola che colgono un’opportunità per lavorare. Un silenzio che fa comodo a tutti, ma che sacrifica la professionalità di taluni a vantaggio di tanti ignoranti. Il Ministero ne trae giovamento perché questi enti che sfornano titoli corrispondono l’accredito al dicastero. Un giro di affari che svende e distrugge la scuola. Avremo tanti laureati, tanti docenti e potremo vantarci in Europa coi dati ISTAT ma saremo costretti a fare i conti con una nuova classe politica e dirigente che fa a cazzotti in Parlamento.

Giuseppe Racco