Sul concorso straordinario per la scuola primaria e dell’infanzia pende la consueta spada di Damocle dei compensi spettanti ai presidenti e ai commissari.
Già in precedenti occasioni gli Uffici scolastici regionali avevano incontrato non poche difficoltà a trovare dirigenti scolastici, insegnanti ed esperti disponibili a fare parte delle commissioni.
Il motivo principale va ricercato nei modesti, modestissimi compensi previsti per chi si deve assumere la responsabilità di decidere del futuro professionale di tanti docenti.
Senza considerare che, con le attuali regole di contabilità, le spese di viaggio possono essere rimborsate ma solo se riguardano l’uso di mezzi pubblici e molto spesso chi abita nella stessa città sede delle prove non ha neppure diritto al rimborso delle spese dell’autobus o della metro.
Ma poi ci sono anche i timori per i ricorsi dei partecipanti contro le irregolarità di cui potrebbero essere chiamati a rispondere in prima persona gli stessi commissari.
Altro motivo che induce molti docenti a rifiutare l’incarico di commissario è legato alla impossibilità di ottenere un esonero anche solo parziale dagli impegni di cattedra: per chi non abita nella stessa città sede delle prove risulta quindi pressoché impossibile conciliare gli impegni di commissario con quelli di insegnante.
I compensi sono ancora fermi ad un decreto di fine 2016, emanato in fretta e furia per ritoccare le cifre precedenti che erano ancora più basse.
Attualmente per il presidente è previsto un “gettone” di circa 500 euro, per i commissari si scende a poco più di 400; ma c’è un “bonus” di un euro per ogni candidato esaminato (ogni commissione, però, può esaminare al massimo 500 candidati).
Insomma, a conti fatti si parla di mille euro (lordi) al massimo, insufficienti persino per pagarsi un panino al bar se si termina di fare lezione alle 13 e si deve essere in sede di esame alle 15.
Parlare di compensi bassi è persino sbagliato. Forse il termine esatto è “umilianti”.
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