Gentile Ministra Azzolina,
mi chiamo Giusi Rossi, sono un’insegnante precaria. Circa 12 anni fa ho avuto il mio primo incarico nella scuola pubblica. Con la mia laurea in architettura, le mie specializzazioni dal taglio socio-ecologico e una discreta esperienza lavorativa nel mondo aziendale, ho accettato l’ardua proposta di insegnare tecnologia tessile nell’Istituto tecnico tessile di Castel Goffredo (MN), noto distretto calzaturiero del nostro paese.
La mia laurea era considerata affine per l’insegnamento di questa disciplina, per la quale non si trovavano ingegneri disposti ad accettare. Avrei dovuto mettermi a studiare da cima a fondo questa disciplina. L’indirizzo tessile di quella scuola rischiava di chiudere, mi era stato raccontato, così accettai con entusiasmo come sempre mi accade quando ho di fronte una sfida da affrontare. All’epoca vivevo a Mantova e per raggiungere Castel Goffredo percorrevo un’ora in auto, partendo alle 6.30 del mattino, nella nebbia fitta della pianura padana. Non si riusciva a vedere ad oltre due metri dal parabrezza. Al ritorno la nebbia era meno fitta, ma per diminuire il rischio di incidente, prenotavo a Castel Goffredo un albergo dal lunedì sera al venerdì, questo solo nel periodo invernale.
Dopo pochi anni l’indirizzo tessile chiuse i battenti e con esso buona parte delle aziende tessili del territorio. Ma queste sono altre questioni. Porto con me il ricordo dolce dei volti di quei miei primi studenti che la loro giovane Prof accompagnò agli esami di maturità, verso un futuro incerto, perché già lo sapevano che l’industria tessile in Italia stava morendo. Questo il mio ricordo amaro. Da allora non ho più lasciato la scuola, sebbene in alcuni frangenti continuassi a dedicarmi alla mia professione di architetto e all’impegno sociale e politico che ho sempre sentito di dover coltivare.
Da allora precaria, ho prestato servizio presso molti istituti secondari per lo più superiori. Man mano che la mia famiglia si allargava, sono attualmente mamma di tre figli di 5, 8 e 11 anni, la Scuola diventava sempre più la mia unica vocazione. E’ stato difficile rinunciare alle possibilità che ancora avevo di esercitare la mia professione, ne avevo le opportunità, soprattutto nel campo della sostenibilità ambientale, ma come si sa, ad un certo punto della vita bisogna scegliere. E quando si sceglie consapevolmente, la scelta non può mai essere un ripiego.
Così ho continuato a coltivare la mia creatività e interesse per la società, mettendole al servizio di questo mondo così importante quanto fragile come quello della Scuola.
Da quattro anni presto servizio presso l’Istituto di Istruzione Superiore “A. Volta” di Lodi, sempre come precaria, pur non sentendomi tale. Ho incontrato una Dirigente Scolastica che con il suo esempio ha saputo appassionarmi ancora di più al mondo della scuola e valorizzarmi. Dallo scorso anno faccio parte dello Staff della Dirigente, in qualità di referente al Cyberbullismo.
Lodi oggi è una terra martoriata. In questi giorni surreali, l’unico appiglio alla realtà, alla normalità ma anche alla gioia è proprio la Scuola ed è per questo che mi sento di farmi voce di questo mondo che silenziosamente sta scongiurando una crisi a livello psicologico di tantissime cittadine e cittadini che nella scuola trovano la loro ragione di Vita. Penso agli studenti volenterosi e alle loro belle famiglie che li accompagnano in questa fase delicata della loro esistenza, ma penso soprattutto a chi non ha altro che la scuola, a chi non può contare su dei riferimenti genitoriali adeguati o chi addirittura non li ha, a chi non ha una casa accogliente, a chi non ha il coraggio di ammettere di non avere a disposizione una connessione wi-fi o un pc con cui mettersi in contatto con i propri insegnanti e compagni. Penso a chi è costretto alla vicinanza, alla violenza, alla povertà.
Ecco che l’impossibilità di fare scuola in presenza ci ricorda quello che la scuola prima di tutto deve essere: luogo democratico, accogliente e vicino. Si può stare nella stessa stanza ed essere distanti così come si può essere vicini anche se a chilometri di distanza. Noi insegnanti, di ruolo e precari, ci sentiamo vicini ai nostri studenti, in questi giorni, più che mai. Loro sono la nostra ragione di vita, la nostra terapia e noi lo siamo per loro.
Lo si capisce da quei messaggi che ti arrivano a tutte le ore del giorno o della notte, per una delucidazione su un compito o semplicemente per sentirsi vicini. Penso a tutti i miei colleghi precari, in particolare a quelli che vivono in solitudine, in un bilocale di Lodi, dal quale svolgono la loro missione di insegnanti con incredibile passione e senso del dovere.
Ho i loro volti che scorrono davanti ai miei occhi, sono persone vere, che magari proprio per la loro condizione di precari che va avanti da anni, non sono riusciti a dedicarsi al sogno di una famiglia e che, nonostante tutto, portano avanti la scuola italiana senza far pesare sulla comunità scolastica la loro delusione e frustrazione.
Cara Ministra, ho letto la sua bellissima lettera indirizzata a tutti noi e dalle sue parole ho compreso la sua sensibilità umana ed è per questo che oggi Le chiedo di ascoltare le mie ragioni. Le idee si possono e si devono cambiare se scopriamo che vi sono nuovi punti di vista da cui osservare un problema.
Noi democratici non possiamo trascurare la partecipazione dal basso nel processo decisionale, perché come diceva Gandhi “se fai qualcosa per me, senza di me, prima o poi sarà contro di me” ed è per questo che Le fornisco il mio punto di vista, rimettendomi poi, con fiducia, alle Sue decisioni. Sono sempre stata una fautrice del principio della meritocrazia, per il quale, nel nostro paese occorre una vera e propria rivoluzione culturale. Sono d’accordo con Lei.
Inoltre, ho sempre sostenuto che uno dei problemi strutturali della Scuola è il reclutamento del corpo docenti. Queste sono tematiche importanti e complesse per le quali non ho preparazione sufficiente per proporre soluzioni. Vorrei tuttavia tentare di fare una considerazione sul metodo con cui il sistema valuta un candidato “meritevole” di diventare un insegnante. La selezione è inevitabile e quanto mai indispensabile ma se non si concentra l’attenzione sul metodo, temo che la Scuola non possa fare il salto di qualità a cui tanto ambisce. Ovviamente un metodo differisce da un altro a seconda degli obiettivi, mi lasci dire, della visione che si ha della Scuola, della società, del mondo.
In generale, ma in questa situazione di emergenza in particolare, occorre contestualizzare il principio a cui ci ispiriamo. Meritocrazia rischia di rimanere una parola vuota, una chimera, un’utopia se non la caliamo nello specifico settore in cui volerla far esprimere. Io sono convinta che una stragrande maggioranza dei precari meritino di diventare insegnanti a tempo indeterminato sulla base della loro anzianità ed esperienza, oltre che sulle esperienze sociali e professionali, e di vedersi riconosciuto il ruolo con il quale poter trovare rinnovata motivazione e soprattutto tentare di realizzarsi anche negli ambiti più personali della propria vita. Questo dovrebbe avvenire, a mio parere, senza dover affrontare un concorso, seppure straordinario, ma pur sempre selettivo, facendo valere i nostri titoli e soprattutto le nostre esperienze professionali maturate in anni ed anni di precariato nella scuola, attraverso, ad esempio, un percorso di immissione in ruolo facilitato e riservato, accompagnato da una seria formazione metodologica e didattica.
Questo potrebbe permettere di arrivare all’inizio del prossimo anno scolastico con un numero di docenti già pronti per affrontare le grandi sfide che ci aspettano e soprattutto dare continuità e sicurezza ai nostri studenti, alle famiglie, alle scuole. Vorrei che si riflettesse su alcuni quesiti. Quanto pesa l’esperienza in una professione così umana e umanizzante? E quanto pesano le nozioni apprese da un testo di 800 pagine per la preparazione al concorso? Probabilmente hanno entrambe un peso importante, ma credo che le nozioni studiate e non vissute si imprimeranno nella parte volatile della nostra memoria a differenza delle esperienze umane che diventano indelebili e formative.
I docenti precari che oggi sono impegnati nella didattica a distanza, molti di noi con famiglie più o meno numerose da gestire, non riescono in alcun modo a trovare le energie e il tempo per preparare un concorso per il quale è previsto lo studio di un folto programma che potrebbe trovare benissimo spazio in una formazione continua nel corso dell’anno, con una immissione in ruolo, appunto, riservata.
La stabilizzazione dei precari e il riconoscimento del loro valore, del nostro valore, in questo momento così drammatico per il nostro Paese, è una condizione indispensabile per non dissipare ulteriori risorse ed energie rispetto a quelle già sacrificate, in alcuni casi ad un prezzo molto alto, all’ ”Altare della Patria”. La Scuola, oggi, deve essere messa nelle condizioni di essere, come Istituzione rappresentante della Cultura, vero e proprio volano per il rilancio sociale, economico e culturale del nostro Paese e questo non può avvenire se non si procede alla creazione di un corpo docente stabile, motivato e preparato come potrebbe essere il popolo dei precari al quale fieramente appartengo. Certa che saprà comprendere a fondo le mie istanze.
Giusi Rossi
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