Il ministro dell'Istruzione Lorenzo Fioramonti mentre pronuncia la formula del giuramento davanti al Capo dello Stato
Ha le idee chiare il nuovo ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti. Soprattutto sul precariato, la piaga che nessun responsabile del Miur è riuscito eliminare. E per cancellare i vuoti di cattedre e le graduatorie dei supplenti stracolme, non c’è altro rimedio che organizzare subito i concorsi, sia quelli a cattedra sia quelli riservati ai precari storici.
“Mancano i docenti? Da subito – ha spiegato su Radio 1 – ho detto che bisogna far partire i concorsi programmati”.
Largo, quindi, soprattutto alle procedure straordinarie previste per i precari con alcuni anni di servizio alle spalle: probabilmente rimarranno in vita i tre anni indicati nel decreto Pittoni (stessa soglia, non a caso, indicata dall’Ue per immettere in ruolo nella PA).
“C’è poi un decreto che – ha continuato l’accademico diventa ministro – presenta delle criticità; ho detto di voler lavorare ad una sua rimodulazione per arrivare alla stabilizzazione di migliaia di precari storici che hanno maturato dei diritti, che hanno le competenze e che vogliono insegnare. Già per oggi ho convocato una riunione su questa tematica”.
Per arrivare ad assumerli, però, servono soldi. I soldi chiesti al Governo con determinatezza da subito (“altrimenti me ne vado”), sono proprio per i supplenti da stabilizzare.
“Ho ben presenti i problemi del settore – ha detto -, la scuola la conosco meno dell’Università ma ho molta passione e ritengo sia una grande sfida: senza scuola non c’è futuro e a questo governo da subito ho detto che l’istruzione e la ricerca sono al centro. Bisogna investire di più, mi aspetto che la legge di bilancio abbia forte discontinuità e ci permetta di risolvere il problema del precariato”, ha sottolineato il neo ministro.
Mentre la tassa “intelligente”, su merendine e voli per trovare i fondi, era per finanziare principalmente “la ricerca: vorrei inserire delle tassazioni che invitano i consumi a diventare più responsabili e al tempo stesso racimolare e trovare risorse da investire proprio nella formazione e nella ricerca; una doppia proposta che ho fatto a inizio anno da viceministro; è ovvio che potrebbe non essere sufficiente ma ho fatto un primo passo per trovare le risorse”.
La dichiarazione sui 3 miliardi, uno per gli atenei, ha chiarito, “non è una frase di oggi: ho iniziato quest’anno, da ministro a maggior ragione mi impegno per arrivare a questo risultato ma certo non è che appena nominato” ho minacciato le dimissioni.
“Ho fatto da tempo proposte per arrivare a 1 miliardo e 700 milioni con piccole tasse di scopo per la ricerca e la formazione: non voglio il discorso della coperta troppo corta, togliendo soldi ad altri comparti, voglio generare nuovi introiti che non tolgano fondi ad altri comparti”.
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