Tra poco dovrò affrontare la prova orale del concorso ordinario, per tentare di ottenere un’abilitazione che non avevo.
Visto che sono in ruolo da più di vent’anni, posso vivere con un po’ di distacco quello che sta succedendo e guardo ai colleghi, che su questa prova si giocano il futuro, con preoccupazione e senso di solidarietà.
Man mano che passano i giorni, mi rendo conto di una cosa: per come è strutturata la prova, studiare i contenuti delle proprie discipline, in modo da avere qualche idea in più e qualcosa di interessante, originale, di prima mano da condividere con gli ipotetici studenti, è poco più di una perdita di tempo; gran parte delle energie va dedicata alla costruzione di una presentazione in Powerpoint con uno scheletro di “programmazione” di un'”Uda” contenente prerequisiti, scansione temporale, competenze, competenze trasversali, metodologie (prescrittivamente “innovative” e incentrate sulle nuove tecnologie), modalità di valutazione, griglie di valutazione, previsione di strumenti compensativi e dispensativi per studenti con Dsa o Bes, modalità di recupero e molte altre cose, il tutto con riferimenti puntuali alla normativa…
La cosa è piuttosto grottesca, considerando che questo lavoro preparatorio va fatto senza conoscere l’argomento su cui si dovrà interloquire con la commissione, estratto dal candidato 24 ore prima dell’esame (nella fattispecie, potrebbe essere un autore, un’opera, un movimento culturale, un collegamento tra opere e autori, un fatto storico, qualunque argomento appartenente a quattro diverse discipline). Ci sono persone che, giustamente, per essere sicure di non dimenticare nulla, stanno preparando scheletri di “programmazione”, in astratto, di trenta o quaranta pagine. Su questo si giocano il futuro professionale.
Ecco, quando si parla di inversione mezzi-fini, si parla proprio di questo: strumenti, metodologie, “innovazioni” che non vengono fuori dall’esigenza di insegnare, condividere, far comprendere e far appassionare.
Sono mostri senza testa, che si aggirano tra noi senza più alcun legame con le conoscenze, con le abilità e con contenuti culturali vivi e vivificanti, con un’approfondita psicologia dell’età evolutiva; soprattutto, senza più alcun legame con gli studenti in carne e ossa, che da persone diverse l’una dall’altra (e che formano classi dalle ‘menti collettive’ uniche e irripetibili) diventano semplicemente gli utenti finali di metodologie standardizzate e burocratizzate.
P.s. A cose fatte, devo dire che, a differenza di quello che è successo ad altri colleghi, siamo stati esaminati da una commissione che, pur seguendo la normativa, ha prestato una certa attenzione alla sostanza dei discorsi culturali. Purtroppo immagino (e so) cosa potrebbe diventare e cosa sta diventando un esame del genere nelle mani di fanatici del totalitarismo buro-pedagogistico.
Luca Malgioglio
Gruppo La nostra scuola
Associazione Agorà 33
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