La mafia nelle università italiane esiste per davvero oppure è una leggenda metropolitana inventata da chi non riesce a far parte del sistema? Non ha dubbi sulla risposta il signor Claudio Zarcone, padre di Norman, lo studente dell’università di Palermo, vincitore di dottorato, che si è suicidato il 13 settembre del 2010: Zarcone lo ha scritto, nero su bianco, in una lettera al ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti.
La sia missiva è stata alimentata dall’inchiesta della Procura della Repubblica di Catania, avviata a seguito dell’ipotesi di concorsi truccati svolti dentro l’ateneo catanese e in altre parti d’Italia e che ora rischia seriamente di mettere a soqquadro l’Università siciliana e non solo.
“Da nove anni lotto da solo – si legge in un passaggio della lettera inviata al ministro dal signor Zarcone – per la memoria di mio figlio, suicida per delegittimazione accademica e per mafia dei colletti bianchi. Da nove anni grido ‘mafiosi!’ senza aver mai ricevuto una querela: rifletta sui probabili perché, anche alla luce dei fatti di Catania”.
Poi, aggiunge che sempre dal 2010 attende che un pubblico ministero gli “dica qualcosa sulle indagini (ipotesi di istigazione al suicidio, ad esempio) o sulla chiusura delle stesse e da nove anni” aspetta “che un’eminenza grigia richieda gli atti di quel dottorato all’interno del quale mio figlio ha perduto la vita”.
“Mio figlio – si legge ancora nella lettera inviata a Bussetti-, laureato con lode, intelletto finissimo, è finito come tutti gli altri figli di gente come me, non legata al malaffare universitario, in un limbo di disperazione e frustrazione, fino alla decisione finale, dalla quale è discesa la distruzione di tutta la mia famiglia”.
Secondo Zarcone, “si dovrebbe applicare l’articolo 416 bis del Codice penale perché, al di là delle parole dei pm catanesi, questo tipo di associazioni sono mafiose anche se non sparano col kalashnikov: infatti il loro modo di uccidere è di carattere morale, sociale, di legalità, di merito, di trasparenza eccetera”.
“Le intercettazioni telefoniche hanno dell’agghiacciante, si fa riferimento allo ‘schiacciare’ i non appartenenti a quella mafia, con linguaggio e metodo mafioso. Così, hanno schiacciato mio figlio”, conclude il signor Zarcone.
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