L’aberrazione si ritrova nei commi 5 e 6 dell’articolo 3 che regolano la fase transitoria in maniera poco comprensibile.
Infatti quanti sono in possesso di un
“titolo accademico acquisito con il previgente ordinamento” devono acquisire, secondo il comma 5, una nuova laurea, la laurea magistrale, se vogliono intraprendere la trafila che porta all’insegnamento, ma per gli stessi soggetti il comma 6 prevede “
ulteriori titoli abilitanti” con corsi organizzati dalle competenti strutture didattiche universitarie.
Chi supera il concorso ha garantito il posto, dice il Ministero. E’ ovvio, avviene per tutti i concorsi che selezionano quanti servono.
I problemi sono altri.
Il primo riguarda i soggetti che concorrono. Si arriva alla meta dopo una continua scrematura e la selezione viene affidata ad una commissione che conosce il candidato solo in sede di esame. Quanti lo hanno conosciuto durante i percorsi accademici formativi o durante l’esperienza lavorativa non contano nella scelta.
Il secondo problema riguarda la ripartizione dei posti. 500 mila precari cederanno metà dei posti da loro occupati da anni ai vincitori dei concorsi. Un percorso privilegiato per sistemare dei “privilegiati” in tempi di vacche magre?
Simulazione
Ma quanti parteciperanno al primo concorso e per quanti posti?
La simulazione che segue viene effettuata a partire dai dati del Miur sui pensionamenti.
Anni considerati: 2006/2007/2008.
Turn-over stimato per ogni anno: 23mila docenti. Aumento del 30% = 6,900 posti. Totale fabbisogno nel triennio 2006/2008: 89.700 insegnanti.
Distribuzione dei posti al 50%: 44.850 alle graduatorie permanenti e altrettanti ai concorsi a cattedra.
Graduatorie permanenti (precari storici + abilitati Ssis fino al VI ciclo per un totale di circa 500mila docenti): 44.700 posti, cioè una cattedra ogni 11 aspiranti.
Nuovo ordinamento: aspiranti nel triennio 89.700; posti nel triennio 89.700 = 1 cattedra per ogni aspirante.