Ha vinto la Pubblica Amministrazione, nell’ambito del contestatissimo concorso per dirigenti scolastici, svoltosi in Calabria. Il Consiglio di Stato ha infatti respinto tutti i ricorsi in appello, giudicando “infondati” i motivi addotti circa le modalità “ non corrette” di gestione delle prove scritte e orali.
Consiglio di Stato e Tar Calabria, dunque, sempre in accordo. Nel giudicare, nel sentenziare, nel rigettare. Per fortuna dei ricorrenti sono stati concordi anche nel compensare le spese, data “la complessità della controversia eccetera eccetera”. Con buona pace per tutti, almeno sul fronte amministrativo.
Le sentenze della magistratura vanno rispettate, certo, ma si possono commentare. E, leggendo i pronunciamenti di Tar Calabria e CdS sul concorso per dirigenti scolastici c’è qualcosa che sfugge al comune senso logico. Con tutta la buona volontà, ma qualche conto non torna, almeno a chi, come me, mastica poco il diritto. Un passaggio, in particolare, rimane duro da digerire. Un’appellante contesta la modalità di valutazione degli elaborati da parte della commissione, in riferimento al profilo temporale, lamentando l’eccessiva brevità dei tempi di correzione. La candidata sarebbe stata così “privata di un’adeguata ed approfondita valutazione, in violazione dei principi di imparzialità e trasparenza delle scelte valutative della pubblica amministrazione”.
In particolare, il giorno in cui è stato corretto il suo compito sono stati valutati «ventidue elaborati in soli 270 minuti (dalle ore 9.00 alle ore 13.30) ». E le è andata pure bene, perché in altre giornate, stando ai verbali, i commissari sono stati ancora più veloci. Mediamente 9-10 minuti per elaborato. Nota bene, per calcolare i tempi di correzione si è fatta l’ipotesi più svantaggiosa per la tesi della ricorrente, cioè che la commissione abbia lavorato ininterrottamente dal primo all’ultimo minuto, senza perdere tempo in saluti, commenti, pausa caffè e quant’altro. E sempre tutti d’accordo sul giudizio da attribuire! Ora, il punto è questo. E’ possibile che in un tempo medio di 12 minuti (nel caso di specie) si sia potuto valutare un tema di dodici pagine che verteva su “una traccia di ampia formulazione” (cit. CdS), tenuto conto che le operazioni di correzione prevedevano: apertura della busta, trascrizione del numero identificativo su ogni foglio, lettura collegiale del tema, discussione, correzione, compilazione della griglia di valutazione, stesura del verbale? Per i giudici amministrativi è possibile. Nella sentenza si legge testualmente: “Non è sindacabile in sede di legittimità la congruità del tempo dedicato dalla commissione giudicatrice alla valutazione delle prove d’esame di candidati; in primo luogo, infatti, manca una predeterminazione, sia pure di massima, ad opera di legge o di regolamenti, dei tempi da dedicare alla correzione degli scritti; in secondo luogo, non è possibile, di norma, stabilire quali concorrenti abbiano fruito di maggiore o minore considerazione e se, quindi, il vizio dedotto infici in concreto il giudizio contestato; inoltre, i calcoli risultano scarsamente significativi laddove siano stati effettuati in base ad un computo meramente presuntivo, derivante dalla suddivisione della durata di ciascuna seduta per il numero dei concorrenti o degli elaborati esaminati». Dunque, il CdS afferma in sostanza che il tempo impiegato dalla commissione per valutare le prove scritte è insindacabile e che il calcolo effettuato dalla ricorrente (la quantità dei minuti diviso il numero dei compiti) non dimostra un bel niente.
Sennonché, curiosando su Internet si scopre che l’esiguità dei tempi di correzione è una doglianza che “vanta” diversi precedenti in giurisprudenza. Solo che in altre circostanze il Consiglio di Stato ha accolto i ricorsi di candidati che si “dolevano” per questo stesso motivo.
Esempio. Il Consiglio di Stato, sez IV, con sentenza 7 marzo- 22 maggio 2000, n° 2915, ritiene fondate le doglianze del dott. Pierpaolo Berardi, bocciato alle prove scritte del concorso per uditore giudiziario, annullando il giudizio di inidoneità, proprio sul rilievo dell’ esiguità del tempo impiegato per la correzione delle prove. Si legge testualmente nella sentenza: “L’apprezzamento del contenuto dell’elaborato implica la sua attenta lettura, da condursi sulla base di due parametri, l’uno oggettivo, dato dalla traccia della prova da svolgere, l’altro soggettivo, dato dalle conoscenze tecniche e professionali che si presume debba possedere il candidato. Sulla base di tali presupposti ogni singolo commissario, in ragione della sua peculiare professionalità, deve valutare criticamente la prova, esprimendo il giudizio. Evidentemente quanto più approfondite sono le conoscenze tecnicoprofessionali che si presume debba possedere il candidato e quanto più specifiche e complesse sono le tracce predisposte per lo svolgimento delle prove scritte, tanto più attenta, approfondita e rigorosa deve essere la lettura dell’elaborato al fine della correzione, trattandosi com’è facilmente intuibile non di una mera operazione meccanicistica di lettura di un testo, ma di una operazione complessa, di «comprensione» e di valutazione del testo elaborato dal candidato. (…) Sulla base di tali considerazioni, se effettivamente non può essere sindacato il merito della valutazione di idoneità o non idoneità espressa dalla commissione, altrettanto evidentemente l’esiguità del tempo medio impiegato per la correzione degli elaborati, in mancanza di altri elementi di valutazione, appare ragionevole sintomo di una lettura non particolarmente approfondita degli elaborati di esame.”.
Ne consegue che serve attenzione per selezionare i magistrati.
Altro esempio. Con sentenza 2421 del 13/05/2005, il Consiglio di Stato- sezione VI- accoglie il ricorso di una candidata valutata in modo insufficiente alla prova scritta del concorso per l’insegnamento della religione cattolica. Tra i vari motivi, la candidata censura i tempi di correzione troppo ristretti. Addirittura scrive il Consiglio di Stato: “Il motivo che, con immediatezza, appare fondato è il terzo dell’originario ricorso, vale a dire il motivo con il quale si deduce che l’operato della Commissione è viziato da eccesso di potere, il cui sintomo più vistoso è il ridottissimo tempo impiegato per la correzione degli elaborati”.
Leggiamo la spiegazione fornita dai giudici: “Sebbene il giudizio negativo o positivo di una prova scritta possa emergere all’evidenza dalla mera lettura di un elaborato che viene fatta da soggetti (i commissari d’esame), che, in virtù della loro competenza specifica, sono chiamati a selezionare i candidati in un esame di concorso, resta il fatto che l’operazione di correzione dei tre elaborati del ricorrente, che la Commissione era chiamata a valutare, richiedeva una serie di modalità, alle quali ogni commissario si doveva attenere. È stata, infatti, predisposta una griglia con i seguenti indicatori: correttezza e proprietà linguistica; pertinenza alla traccia e rispetto delle consegne; conoscenza dei contenuti; capacità organizzative e rielaborazione personale, e la valutazione di ogni quesito doveva essere fatta in base alla media risultante dalla somma dei punteggi di ogni singolo criterio, con il risultato che la valutazione globale è data dalla somma delle valutazioni dei quesiti divisa per tre. Ora, è chiaro che non si tratta di operazioni particolarmente complesse, specie se tutti i commissari si trovano d’accordo sulla valutazione dell’elaborato, ma il tempo che l’istante indica in quattro minuti per la correzione della sua prova (la commissione avrebbe esaminato 52 elaborati in quattro ore, verbale n. 8 della seconda commissione) pare eccessivamente ridotto, e tale da ingenerare dubbi sul fatto che la lettura della sua prova scritta sia stata fatta in modo da non suscitare perplessità sul giudizio di non sufficienza espresso. Una maggiore ponderazione poteva, nella specie, essere richiesta dal tipo di esame (concorso riservato per titoli ed esami), al quale partecipavano candidati, la cui valutazione (da svolgersi, come dice il TAR, in modo serio e selettivo) deve tener conto della pluriennale esperienza acquisita da ognuno nello specifico insegnamento della religione cattolica”.
Morale della favola, serve “ponderazione” per selezionare i docenti di religione. E per i dirigenti scolastici? Perché è inevitabile, dopo aver messo a confronto due orientamenti giurisprudenziali opposti su uno stesso “punctum dolens”, chiedersi in cosa sia diverso dall’ aspirante uditore giudiziario e dall’ aspirante insegnante di religione il caso di un’aspirante dirigente scolastica, che lamenta di essere stata “liquidata” troppo in fretta dalla commissione. Facendo, peraltro, lo stesso identico ragionamento per calcolare i minuti. D’altronde, non ci risulta che esistano altri strumenti, a parte la divisione, per determinare la media aritmetica. Ed è proprio qui che i conti non tornano. Come mai, per la legge, il ragionamento sui minuti in un caso non dimostra nulla e nell’ altro dimostra tutto? Quattro minuti sono un tempo “ridottissimo” per valutare un compito di religione, mentre bastano otto minuti di più per giudicare la preparazione di un candidato sulla normativa, la leadership e la governance di un’ istituzione scolastica?
Si era già avuta come la sensazione che i giudici sottovalutassero un tantino il livello culturale dei dirigenti scolastici, quando il Tar Calabria non ritenne di doversi esprimere sugli errori concettuali e sintattici riscontrati in alcuni elaborati idonei. Il Tribunale aveva, per così dire, steso un velo pietoso su tanti megastrafalcioni, sorvolando sul punto della valutazione, come a voler dire che tale aspetto non fosse di sua competenza. Eppure, altre volte lo stesso Tribunale ha preso posizione su questo punto. Come in un concorso per la copertura di un posto di avvocato indetto dalla Provincia di Cosenza. Allora, il collegio del Tar, accogliendo il ricorso di una candidata esclusa, che denunciava gli errori ortografici rinvenuti negli elaborati del vincitore, annullava sia la valutazione positiva degli elaborati redatti dal controinteressato, sia l’approvazione della graduatoria di merito e la nomina del vincitore, disponendo il rinnovo della procedura concorsuale. “Atteso che – si legge nella sentenza- in modo a dir vero incomprensibile, la Commissione originaria ha favorevolmente valutato elaborati con gravi errori di ortografia e di grammatica”.
Senza dubbio, non può non esserci una logica giuridica in queste apparenti “disparità” dei Tribunali. Nel qual caso saremmo molto grati se un esperto di diritto volesse gentilmente illuminarci. Altrimenti, finiremmo col convincerci che per i giudici amministrativi le competenze e i requisiti culturali, da sondare con molta ”ponderazione” in altre figure professionali, non siano poi, in fondo in fondo, così necessari per dirigere una scuola.
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