Torna a pronunciarsi il Consiglio di Stato sul tribolato concorso per dirigente scolastico bandito nel 2017.
Dopo le pronunce di annullamento dell’intera procedura da parte del Tar Lazio nel luglio del 2019, ribaltate dal Consiglio di Stato in sede di appello con le sentenze n.395 e n.396 del 12.01.2021, i Giudici di Palazzo Spada tornano ad esprimersi sul concorso per dirigente scolastico con una sentenza depositata lo scorso 8 luglio.
Nell’esaminare un appello proposto su un ricorso con cui, oltre a censurare la mancata ammissione alla prova orale del ricorrente, si contestavano alcuni aspetti di carattere generale dell’intera procedura, il Consiglio di Stato ha avuto modo di tornare su alcuni principi già espressi a gennaio scorso.
Nessuna violazione del principio del collegio perfetto
Circa la censurata “presunta” contemporanea presenza di due membri di commissione alla seduta del Consiglio di Istituto di una scuola romana, la sentenza in commento ha rilevato come il verbale della sottocommissione incaricata della correzione sia sorretto dalla fede pubblica e, pertanto, al fine di porre in dubbio quanto in esso riportato era necessaria la proposizione della c.d. querela di falso.
Il caso Sardegna
Lo svolgimento in una diversa data della prova nella regione Sardegna non avrebbe leso il principio di univocità della prova, stante la sussistenza di cause di forza maggiore sopravvenute e considerato che sarebbe stato irragionevole e sproporzionato lo slittamento dell’intera procedura in tutto il resto d’Italia.
La risoluzione del “caso pratico”
Non avrebbe violato il bando la sottoposizione del “caso pratico” in quanto lo stesso bando non era affatto ostativo alla formulazione di quesiti strutturati come “casi”, e tenuto conto che, nella specie, i cosiddetti “studi di casi” consistevano nella descrizione delle azioni del dirigente scolastico.
Le disfunzioni del software
Altresì infondata è stata ritenuta la censura mossa avverso il malfunzionamento del software per lo svolgimento della prova, stante che, a parere dei Giudici, i lamentati “malfunzionamenti” del sistema appaiono invece riconducibili alla erronea applicazione delle impostazioni generali del programma (di per sé tecnicamente corrette), imputabile al singolo concorrente.
Non è stato violato il principio dell’anonimato
Il Consiglio di Stato si è infine soffermato sul principio dell’anonimato, che nella fattispecie non risulterebbe essere stato violato.
Invero, secondo la sentenza in commento, quella formulata in ricorso sarebbe una prospettazione meramente ipotetica e priva di ogni supporto probatorio.
Di contro, secondo i Giudici di Palazzo Spada, dalla relazione ministeriale depositata in giudizio, sarebbe emersa l’adozione da parte del Ministero di tutte le misure idonee a garantire l’anonimato nella procedura concorsuale.
In particolare, secondo la procedura prevista, il candidato ha estratto da un’urna un modulo su cui era stampato il codice anonimo e gli è stato consegnato anche un altro modulo su cui erano stampati i propri dati anagrafici; entrambi i moduli sono stati controfirmati dal candidato; alla fine della prova, il candidato ha inserito sull’applicativo il codice anonimo, che è stato salvato nel tracciato record del file .BAC, criptato; sia il modulo cartaceo contenente il codice personale anonimo che quello contenente i dati anagrafici sono stati inseriti in una busta internografata sigillata.
Le buste di tutti i candidati sono state quindi riposte dal comitato di vigilanza in una busta sigillata e siglata, a sua volta inserita in un plico, sui cui lembi di chiusura il comitato di vigilanza ha di nuovo apposto la firma e la data; tale materiale è stato quindi consegnato ai direttori degli uffici scolastici regionali e da questi recapitato al Ministero, affinché venissero presi in custodia dai carabinieri fino alla conclusione delle operazioni di correzione.
Anche lo svolgimento della fase di associazione tra candidato e codice anonimo è stata ritenuta adeguata al fine di garantire l’anonimato potendo ogni compito essere identificato solo in base al codice di correzione, dall’id di caricamento e dal codice anonimo.
Alla luce dei predetti rilievi, e in difetto anche solo di un principio di prova di segno contrario, il Consiglio di Stato ha quindi concluso per escludere che si sia verificata una violazione dell’anonimato.