Su richiesta dell’insegnante firmataria pubblichiamo qui una nota da lei inviata al direttore del quotidiano Repubblica.
Gentilissimo Direttore,
Le sembrerà bizzarro ricevere una richiesta di rettifica dalle pagine di una rivista di informazione specializzata. Perdonerà l’originalità, ma i pubblici appelli alle più alte cariche dello Stato, dai luoghi più disparati, sono diventate una tale consuetudine nel nostro straordinario Paese, che non di certo potrà suscitare meraviglia il mio.
Così, mi sono detta, interpretando le velleità della stragrande maggioranza dei colleghi – aspiranti presidi e non, visto che il ruolo è riservato ai soli docenti – perché non inventarsene una anche per rivolgersi al principale responsabile di una delle testate nazionali più prestigiose d’Italia? Magari, il rischio che l’istanza sia relegata a pie’ di pagina o sia addirittura cestinata si riduce.
Vengo al punto, dolente, purtroppo. Entra nel merito dell’articolo pubblicato sul Suo pregevolissimo quotidiano, lo scorso mercoledì, 28 agosto 2019, intitolato “Dai congiuntivi alle percentuali, quando l’asino è l’aspirante preside”.
Il servizio reca la firma, a palchetto per carità, di Massimo Arcangeli, linguista e professore universitario.
Ebbene, astenendomi da qualsiasi velleità di polemica – la vita è soprattutto una questione di stile – CHIEDO, in virtù di quanto espressamente regolamentato dalla normativa vigente (art.8, legge 47 del 1948) in materia di informazione e dal codice deontologico dei giornalisti, di rettificare il titolo del servizio testé citato e il contenuto del medesimo, inequivocabilmente lesivi e diffamatori nei riguardi dell’intera categoria docente: non solo degli “aspiranti presidi”.
Mi permetto di far osservare che, in merito al concorso in questione, è tuttora in atto un contenzioso giudiziario – penale e amministrativo – di cui si attendono gli esiti definitivi, a seguito della imminente pronuncia del Consiglio di Stato, prevista il prossimo 17 ottobre. Il supremo organo amministrativo sarà infatti chiamato a deliberare, a fronte di una sentenza di annullamento già pronunciata dal Tar Lazio il 2 luglio scorso, per manifesta incompatibilità di tre membri della commissione madre, riunitasi lo scorso 25 gennaio in seduta plenaria, per definire i criteri di correzione delle prove.
Abusando della Sua cortesia e anche della pazienza di coloro che hanno garbatamente voluto offrirmi ospitalit à, mi permettoancora di far notare che – forse la verifica delle fonti non è più un obbligo per i cronisti italiani di nuova generazione – molti candidati esclusi dalla prova orale hanno più volte, e a più riprese, richiesto al Miur di accedere agli atti, inoltrando istanza di lettura o di copia degli elaborati, secondo quanto prescritto dalla normativa, in materia di pubblicità e di trasparenza degli atti amministrativi (Legge 241/1990).
A tutt’oggi, il Miur non ha fornito a chicchessia la possibilità di prendere visione di alcunché e, tantomeno, si è fatto carico di pubblicare le votazioni riportate dai candidati ritenuti idonei, in sede di prova scritta e orale. Esistono, per il momento, dei vincitori con riserva, tali solo per effetto di una sospensiva. Esiste una graduatoria, ma non esistono – almeno non è dato vederle – le relative valutazioni con i rispettivi punteggi.
Insomma, sino a questo momento, l’operato delle trentotto commissioni nominate per la selezione degli aspiranti dirigenti risulta secretato e reso indisponibile, a fronte delle continue e costanti richieste fatte pervenire al Ministero.
Converrà con me, esimio Direttore, che la violazione del segreto deontologico è sempre stigmatizzabile, da qualsiasi parte essa provenga e, peggio ancora, se minimamente risulti capace di insinuare il dubbio di avvicinarsi, pur solo sfiorandolo, il segreto d’ufficio. Niente spinge a dubitare che ciò che riferisce l’articolista non sia conforme alla verità dei fatti: è, tuttavia, la verità dal suo parziale punto di vista, non estensibile all’intera categoria e mediante un titolo siffatto, “urlato” in apertura di pagina e, persino, richiamato nella “vetrina” del giornale.
Sappiamo bene che per prassi redazionale l’autore del servizio non sempre e non necessariamente si identifica con colui che lo titola o lo impagina. L’Italia brulica di mediocri e incompetenti in tutti i settori: della pubblica amministrazione e non. Perciò, quel titolo, in particolare, non solo offende l’intero universo scolastico, ma scredita per superficialità e pressapochismo, oltre che per violazione dei richiamati obblighi professionali, anche la categoria dei giornalisti e tutto il settore dell’informazione nazionale.
La libertà di pensiero, di parola e di opinione è sacrosanta almeno quanto è indiscutibile il diritto di critica e di satira: non è necessario scomodare la Costituzione o ricorrere al “termometro della democrazia” del nostro Paese, per restarne perentoriamente convinti. Tuttavia, nonostante si sia bene in grado di intuire il tasso di esplosività della fatale combinazione tra retorica da sensazionalismo e penuria agostana di notizie – che rendono il vuoto della pagina l’emergenza di uno spazio a tutti i costi da riempire – non si può concedere che passino sotto silenzio l’onore, il decoro e la dignità delle persone direttamente o indirettamente coinvolte, abbiano o meno un nome, un volto e un’identità da mostrare.
Le chiedo, pertanto, di tornare sul servizio diffamatorio, non solo per rettificare tempestivamente, ma riservando anche appropriato rilievo – se non il medesimo – alla pubblicazione.
L’intera categoria docenziale sarebbe legittimato ad adire le vie legali e ad approntare qualsiasi altro strumento, a tutela della dignità e dell’integrità della propria immagine.
Liberata Degli Esposti