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Concorso dirigenti: per il TAR lo spostamento della prova in Sardegna è legittimo

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Resa nota da poche ore la sentenza emessa dal TAR Lazio il 6 ottobre scorso in merito al ricorso presentato da un certo numero di docenti che non avevano superato la prova scritta del concorso per dirigenti scolastici.
Il ricorso è stato respinto e i ricorrenti sono stati condannati anche a pagare le spese di giudizio nella misura di 1.500 euro.

Per il TAR lo spostamento della data dello scritto in Sardegna non è un motivo valido per annullare il concorso

Il motivo principale del ricorso riguardava il rinvio della data della prova scritta per i soli candidati della Sardegna, rinvio che, secondo i ricorrenti, avrebbe determinato una palese disparità di trattamento.
Sul punto il TAR Lazio è chiaro: “La illustrata censura non coglie nel segno e va pertanto disattesa”.
“Va infatti rimarcato –
spiegano i giudici – che come gli stessi deducenti ammettono, le eccezioni al principio di unicità della prova sono consentite in casi eccezionali, tra i quali sicuramente deve farsi rientrare l’improvvisa ed imprevedibile chiusura delle scuole disposta dalla competenti autorità in Sardegna. Irragionevole sarebbe risultato infatti disporre lo slittamento della prova su tutto il territorio nazionale a cagione della oggettiva impossibilità di svolgimento nella data prestabilita, della disponibilità delle sedi inerenti la sola Regione Sardegna”.
“Né i ricorrenti
– aggiungo i giudici – offrono, ancora, principio di prova in ordine all’indebito vantaggio che a loro dire avrebbero fruito i concorrenti sardi, avuto presente, altresì, che il Ministero ha chiarito che le domande proposte ai candidati alla sessione del dicembre 2018 erano diverse da quelle sottoposte ai concorrenti in precedenza”.

Nulle anche le altre motivazioni

La sentenza passa in rassegna anche gli altri casi di presunta illegittimità evidenziati nel ricorso respingendoli tutti, uno ad uno.
E così non vengono considerati il malfunzionamento della piattaforma sulla quale i candidati dovevano inserire le risposte ai quesiti e neppure le decisioni difformi da commissione a commissione in merito all’uso di repertori normativi.
Sulla presunta violazione del principio di anonimato i giudici si dilungano ampiamente nel descrivere con minuzia di particolari le modalità con cui le buste sono state chiuse e sigillate.
Va detto che la vicenda non si chiude con questa sentenza perché i ricorrenti potrebbero rivolgersi ancora al Consiglio di Stato.
Per mettere la parola fine alla questione ci vorrà molto tempo.

Reginaldo Palermo

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