We had a dream: diventare dirigenti per contribuire al miglioramento della Scuola. Ci siamo resi conto, studiando per il concorso, che questa via è possibile, che richiede metodo e organizzazione, che le possibilità ci sono ma non possono essere attuate soltanto attraverso la funzione insegnante: ci vuole una leadership consapevole, preparata, coraggiosa.
Forse qualcuno di noi ha cominciato per migliorare la propria posizione economica ma, studiando, ci siamo resi conto delle potenzialità della Normativa, del respiro europeo che da Maastricht a Lisbona, da Copenaghen a Bologna, ha reso la Scuola un laboratorio di ricerca, una possibilità di sviluppo economico per un Paese, il nostro, nel quale si sta divulgando un analfabetismo di ritorno perché lo Stato non crede nella Scuola, la Scuola stessa non crede nella Scuola.
Lo dimostrano le Finanziarie che si sono accanite sempre contro un unico settore, quello dell’Istruzione, tanto che il MIUR – nonostante i buoni proposit i- si è visto costretto a potare le risorse necessarie a rendere l’istruzione italiana competitiva, gli insegnanti motivati, i dirigenti sereni.
Lo dimostra il Decreto Sicurezza che va nella direzione di costringere i dirigenti e, in generale, i dipendenti pubblici, a una schedatura di massa costosa e senza precedenti: il controllo delle impronte digitali.
Eppure non siamo delinquenti, non siamo eversivi, siamo cittadini di oggi a cui è stato affidato il compito di formare i cittadini di domani, uomini in atto che educano uomini in potenza.
Siamo però resi impotenti, imbelli, privati della dignità necessaria per svolgere il nostro compito: la Scuola è diventata un’azienda in cui il cliente ha sempre ragione.
E questo non è scritto da nessuna parte, è solo frutto di pigrizia, di inerzia, di paura o, semplicemente, di attenzione alle continue emergenze che ci si trova ad affrontare.
Se in Europa si parla di scuola attiva, di inquiry, di architettura degli ambienti di apprendimento, noi in Italia siamo costretti a una didattica ieratica, trasmissiva, immobile perché, da un momento all’altro, scuole imprigionate in eterne impalcature, possono crollare.
Noi avevamo un sogno: essere gli attori di un cambiamento che esperti europei e italiani ci chiedono da tempo e che il MIUR ha cercato di stimolare pur dovendo sopravvivere a tagli economici sempre più radicali.
Cui prodest hoc scelus?
Sembra che in Italia l’istruzione non conti, sembra dia fastidio e sembra che, chi lavora nella Scuola, debba essere umiliato.
E noi, che avevamo un sogno, nell’affrontare questo concorso ci siamo sentiti umiliati.
Ci siamo impegnati forte, tutti quanti, indipendentemente dalla regione di provenienza e indipendentemente dal risultato conseguito.
Mentre studiavamo, ci sentivamo garantiti; eravamo convinti che in Italia, a partire dalla legge 241/90, fosse finito il tempo di una forma di amministrazione ex parte principis e ci siamo illusi che i principi di trasparenza ed efficacia riguardassero anche l’attuale concorso.
Abbiamo superato la prova preselettiva, difficile e disperata ma trasparente, corretta in modo indiscutibilmente oggettivo.
Poi ci siamo arenati nella prova scritta, il Sistema si è arenato nella prova scritta.
150 minuti per dimostrare le nostre competenze al computer e non siamo nativi digitali.
Cinque quesiti che sarebbero potuti essere cinque temi: ci è stata chiesta la competenza della sintesi, come se ci potesse essere sintesi senza analisi.
Un gruppo di candidati è stato promosso e un gruppo è stato bocciato, su quali basi?
La competenza linguistica e la competenza informatica hanno spazzato via in pochi minuti qualsiasi altra formazione ma lo abbiamo accettato.
Abbiamo accettato le regole del gioco anche se, in itinere, le regole sono cambiate: il corso concorso è diventato una mera procedura selettiva, l’unicità della prova non è stata garantita.
Lo avremmo accettato, nonostante tutto, se avessero vinto i migliori. Avremmo stretto loro la mano, avremmo cercato di colmare le nostre lacune.
Qui invece ha vinto il Caso che ha reso la selezione decisamente aleatoria.
Perché, per quanto il MIUR abbia cercato di uniformare il lavoro delle sottocommissioni attraverso una griglia di valutazione, questa è stata tradita dalla soggettività di giudizio e dalla mancanza di una commissione unica.
Vi preghiamo dunque di ascoltarci, vi chiediamo se questo è un concorso equo.
E vi riferiamo che alcune sottocommissioni ci hanno giudicati inidonei non solo come dirigenti scolastici ma anche come insegnanti poiché le valutazioni nell’utilizzo della lingua madre sono umilianti.
Vi riferiamo che il software, che ci avrebbe dovuto garantire, ci ha traditi impedendoci di salvare le modifiche del nostro elaborato.
Vi riferiamo che, dopo aver visto le nostre valutazioni, ci siamo sentiti non bocciati ma arati come fastidiosa gramigna.
Di nuovo siamo stati offesi come professionisti ma questa volta ci siamo rialzati; ci siamo scoperti migranti digitali, ci siamo riuniti in rete e abbiamo istituito diversi comitati che convergono e navigano. verso un unico obiettivo: la tutela della trasparenza perché la riforma della pubblica amministrazione sia legata a principi etici e non alle impronte digitali.
Per noi.
Per i nostri figli.
Vi abbiamo posto alcune domande e ancora attendiamo le vostre doverose risposte: la democrazia è confronto.
Alessandra Giordano
Movimento Trasparenza e Merito
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