I lettori ci scrivono

Concorso dirigenti scolastici, luci e ombre di un concorso “quasi truccato”

Gentile ministro, le fasi del concorso per dirigenti scolastici volgono al termine, tra delusioni e polemiche (di molti), speranze e resilienza (ormai di pochi). Mettendo da parte ogni osservazione sulle modalità e condizioni di svolgimento delle prove fin qui espletate, vogliamo sollecitare la sua attenzione su alcuni aspetti che rendono quanto mai equivoche le restanti fasi della selezione: quelle relative alla prova orale e alla valutazione dei titoli.

In merito alla prima questione, ci rivolgiamo all’uomo di scuola, di esperienze dirigenziali e consapevole delle reali competenze che si richiedono a un dirigente scolastico. Ora, osservando il quadro relativo all’assegnazione dei punteggi alla prova orale, si nota che il valore riconosciuto alle competenze in lingua straniera è pari al doppio rispetto a quello per le competenze informatiche (12 vs 6).

Eppure, la nostra esperienza ci dice che le nuove tecnologie e strumenti per l’informazione e la comunicazione sono il cuore pulsante della gestione amministrativa, contabile e didattica di un’istituzione scolastica (il PC diventa quasi un’appendice del DS, anche al di fuori e oltre l’orario di servizio).

Il ricorso alle competenze in L2, di contro, appare secondario, se non marginale, nel lavoro quotidiano di un dirigente scolastico. Se a ciò si aggiunge il totale di 20 punti assegnati alla parte in lingua della prova scritta, Lei converrà con noi che i docenti di lingua hanno già in tasca 32 punti sul totale del punteggio che andrà a costituire la graduatoria di merito finale. Se si considera, inoltre, che, data l’età media dei concorrenti, i candidati non laureati in lingue ne hanno abbandonato lo studio (e molto probabilmente anche la pratica) da almeno 25/30 anni (mentre i laureati in lingue hanno continuato a studiarla all’università e la praticano ogni giorno nelle classi), si comprende facilmente come il nostro asserto relativo ad un evidente vantaggio per i candidati laureati in lingue, rispetto a tutti gli altri, sia di banale intuizione. Si consideri, inoltre, che chi oggi ha un’età che va dai 45 anni in su (come la media dei candidati di questo concorso), ha svolto i suoi studi superiori negli anni 70-80, quando non esisteva neanche un Quadro di Riferimento europeo per l’apprendimento delle lingue.

Le nostre competenze linguistiche si basano su percorsi legati a programmi ministeriali che neanche i più innovativi professori piegavano alle tipologie di competenze previste in seguito dal quadro europeo. Sappiamo che le scelte relative al peso da attribuire alle diverse parti costitutive della prova concorsuale non sono state fatte da questo governo, ma ci aspettiamo un’attenta vigilanza a che non si valutino alla stessa stregua le competenze dimostrate dai candidati/professori di Lingue e quelle recuperate, fra tante difficoltà e impegni di approfondimento, da parte di chi non frequenta la lingua straniera da circa 30 anni. Diversamente, si confermerebbe un dubbio che serpeggia sempre più insistente fra i candidati: e cioè che ci sia qualche lobby che, lavorando all’ombra del ministero, stia tentando di piegare gli esiti di questa procedura selettiva verso palesi vantaggi per alcuni ed altrettanto palesi penalità per altri.

A tal proposito veniamo alla seconda questione: la tabella di valutazione dei titoli, di cui alla tabella A, allegata alla Gazzetta ufficiale numero 220 del 20 Settembre 2017, presenta evidenti squilibri rispetto a ciò che fa di un DS un DS competente e ciò che non apporta alcuna competenza aggiuntiva. Tutte le teorie psicopedagogiche, legate quindi all’apprendimento, affermano che la competenza è, sì, frutto di studio, ma anche (se non soprattutto) di esperienza. Aver limitato a 6 gli anni valutabili per quanto concerne il servizio prestato come collaboratore del capo d’istituto, mostra una evidente miopia di chi ha predisposto la tabella. Non solo, ma nessun punteggio viene previsto per le certificazioni relative alle competenze informatiche, mentre si valutano i titoli relativi all’insegnamento in CLIL. Vale più un titolo clil che è un anno di esperienza come collaboratore del DS!

Inoltre, si valuta l’inclusione nell’elenco degli esperti dei nuclei di valutazione come se fosse un servizio, senza considerare che al massimo poteva rappresentare un titolo.

Il solo fatto di essere inseriti in un elenco non attesta l’espletamento di un servizio.
Ora, senza volere avanzare richieste utopistiche di revisioni e/o stravolgimenti di tabelle e criteri di attribuzione dei punteggi, sia per le prove che per i titoli, chiediamo un’attenta vigilanza e precise istruzioni alle commissioni, affinché diano il giusto peso alle diverse tipologie di competenze esprimibili dai candidati, nell’ottica di un riequilibrio generale delle evidenti forzature poste a fondamento di tutte le fasi relative a questa procedura concorsuale.

Carmine Gallo

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