I lettori ci scrivono

Concorso dirigenti scolastici, vincitori di che?

Tamquam non esset, come non fosse mai stata.

Come non fosse mai stata una di sentenza di annullamento, un’inchiesta avviata dalla procura della Repubblica di Roma, come non fossero mai stati i ricorsi e le doglianze di quanti hanno dovuto fare appello alla giustizia amministrativa, per vedere tutelati i propri interessi legittimi.

Tamquam non esset, come non fosse mai stato – è in fondo soltanto una questione di ermeneutica giuridica –  un concorso, una selezione, una pubblica competizione.

Cose di… casa nostra, ma tant’è. L’ordinanza di sospensiva emanata dal Consiglio di Stato ha sortito un solo effetto: non l’“epoché”, ma la cancellazione immediata della sentenza di annullamento della procedura concorsuale, pronunciata dal Tar Lazio soltanto una settimana prima.

Tamquam non esset, come – per l’appunto – non fosse mai stata. Gongola il ministro Bussetti, trionfano Anp e le associazioni di categoria, esultano gli idonei, già impalmati come i “vincitori”.

Si perdoni l’ardire insolente: ma vincitori di che? Di un titolo illegittimo reso provvisoriamente efficace da un’ordinanza di sospensione? Vincitori di che? Della inespressa certezza che la sospensiva del Consiglio di Stato abbia già estirpato alla radice ogni traccia – che lo si voglia ammettere o meno, questa è poi soltanto una questione di onestà intellettuale – delle irregolarità conclamate, con cui è stato gestito e condotto l’ultimo concorso per Dirigenti scolastici? Vincitori di che? Di un merito “agevolato”? Di una medaglia al valore acquisita per caso, per fortuna, schiatta o lignaggio? Vincitori di che?

Gigantografia del “sistema Catania”, quello che ha visto finire sotto inchiesta il rettore della magnifica università siciliana e oltre quaranta docenti, specializzati – stando alle indagini degli inquirenti – nello “schiacciamento” degli ingenui, ineffabili, “str.…” che, invocando il merito, osavano sfidarne le regole.

Tamquam non esset, come non fosse mai stata una sentenza di annullamento, tamquam non essent, come non ci fossero mai stati i ricorrenti. Tutto va come doveva andare. Alla fin fine, l’imperatore è vestito anche se è nudo: basta convincersene e convincere, chiudendo gli occhi per condiscendenza e serrando le bocche per convenienza. Il prossimo 17 ottobre – la data fissata dai giudici di palazzo Spada per la sentenza di merito – è lontano: ne scorrerà di acqua sotto i ponti, prima che sopraggiunga. Ad agosto, l’Italia intera chiude per ferie, i cervelli vanno in zuppa e i rancori in vacanza. Pure Dio lo farà.

E sarà finalmente l’epilogo, il finale dell’ultima commedia imbastita all’italiana maniera. Altro che trasparenza, legalità, partecipazione. Adesso, si armino le scialuppe e si gridi al “si salvi chi può”. Ciò che conta è quel che si vede, non ciò che c’è dietro. Il fenomeno, direbbe Hegel, è il noumeno.

Sapere aude. Le leggi? Importante è che siano lì, incise – nero su bianco – a caratteri di fuoco. La carta brucia e quel che resta è la memoria smemorata di una vigenza soltanto invocata. Il mite Azzeccagarbugli di manzoniana memoria docet: un modo per applicare “le gride”, disapplicandole, si trova sempre, no? Ah, i Francesi – con la maiuscola – tutta invidia la loro, quando già in pieno Medioevo maliziosamente alludevano alla “fantasia giuridica” dell’italica stirpe, con la minuscola: insuperabile in questo, ci sia concessa una punta di civetteria, prego.

Insomma, per farla breve, mentre i giudici di palazzo Spada hanno saggiamente ritenuto di dover lasciar prevalere – per il momento e senza entrare nel merito – l’agognato interesse comune, per garantire il prossimo primo settembre un ordinato inizio dell’anno scolastico e porre un argine all’annosa questione delle reggenze, dagli “atri muscosi, dai fori cadenti, dalle arse officine stridenti”, i maghi di viale Trastevere continuano a sfornare carte e a dare numeri.

“Rien ne va plus”, i giochi sono fatti, signori, conservate per la prossima tornata le vostre scommesse. I vincitori? Qui si tratta di imbarcare circa tremila “meritevoli”, uno più, uno meno. E bisogna farlo a tutti i costi: è una questione non di principio, ma di vita  o di morte.

Sono gli eletti, i predestinati dalla Provvidenza divina alla salvezza della scuola italiana tutta: confessati, comunicati e catechizzati a dovere, tra un meeting, un briefing e una serie infinita di riti propiziatori – di iniziazione e di fidelizzazione – su e giù per l’Italia, con il beneplacito di tutte le sigle sindacali, in attesa di preparare le valigie e raggiungere la sede di destinazione.

Eh, poveri cuori di mamma. Avrebbero sperato di ottenere magari una modesta poltroncina sotto casa. Invece, per molti di loro, malgrado il punteggio da mucca Carolina, la roboanza solenne di titoli e blasoni, sarà un esodo, una diaspora o, forse, chissà, una rinuncia.

Quando i sognatori rincorrono farfalle. Chissà ancora quanti scoppiettii, quanti fuochi d’artificio, alla pubblicazione definitiva della graduatoria dei “migliori”. I cosiddetti “rosiconi” diventeranno verdi d’invidia a leggere i voti riportati dai futuri dirigenti scolastici, sempre che gli sarà dato modo di saperlo. Aspettano di conoscerli dal quel fatidico 27 marzo,  quando il Miur pensò bene di pubblicare l’elenco degli ammessi: una sfilza di nomi e cognomi, inanellati l’uno dietro l’altro, che venivano giù tutti d’un fiato. Non un codice, non una data di nascita, non una traccia o un indizio, che desse a quella sequela di prescelti un sigillo di qualità.

Di atti e di documenti amministrativi, di corsi e di storici ricorsi, niente da fare. Chi avesse sperato di saperne di più nei giorni successivi, a suon di richieste di accesso e di carte bollate, avrebbe continuato –  ingenuo tapino – a farlo, per poi doversi stoicamente arrendere.

Oggi, alla vigilia della pubblicazione della graduatoria di merito, la storia – direbbe Marx – si ripete. Nomi e cognomi di intere dinastie e illustri casate si rincorrono in ordine alfabetico, rivelando spesso la parentela, la schiatta e la discendenza. Si tratta di fratelli, sorelle, cugini, affini: due piccioni e più con una sola fava. Si infilano l’uno dietro l’altro, facendo affidamento sui dubbi stillati dall’omonimia. Peccato, non si chiamano tutti Gennarino Esposito o Mario Cazzaniga.

Quando si dice la casta. Qualcuno, addirittura, si presenta contraddistinto da un piccolo asterisco: segnala che ha un conto in sospeso con la giustizia amministrativa per la prova preselettiva andata male, nonostante i lusinghieri risultati conseguiti agli scritti e all’orale. Niente paura, il Miur ha già annunciato, per loro, un posticino tenuto in serbo.

Rosicate “rosiconi”, rosicate, travasate tutta la bile che avete in corpo e restate a guardare: i dirigenti vincitori – vincitori di una sentenza di annullamento e di un posticino al sole – sono tutti o quasi, con buona pace di qualcuno, discendenti di Onofrio Del Grillo: marchese, al secolo, rammentate? Lui era chi era. E voi? Chi siete voi? Gli ultimi “str…. da schiacciare”?

 

Liberata Degli Esposti

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