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Concorso docenti, l’esperienza di Elisa: “Prove strutturate non per selezionare i migliori docenti”

Un intervento deciso e appassionato, quello di Elisa Perazzolo, docente precaria alla Festa dell’Unità a Catania durante l’incontro con Faraone e Puglisi. Lei, come tanti altri insegnanti della classe A019 (Storia e Filosofia), hanno messo in evidenza le inefficenze del Concorso docenti con prove selettive ambigue e con poco tempo a disposizione.

Una protesta, già è in atto da diversi mesi, sfociata in un documento consegnato al sottosegretario Faraone di cui la Tecnica della Scuola è venuto in possesso (clicca qui per scaricare il documento) e nel discorso di giovedì scorso alla Festa democratica che ha riscosso un grande successo all’interno della nostra comunità social.

In un’intervista al nostro sito, Elisa Perazzaolo, ci racconta la sua storia e spiega i motivi della protesta dei docenti di storia e filosofia dopo aver sostenuto le prove del Concorsone.

 

Perazzolo, lei è una docente precaria? Ci racconti il suo percorso formativo
Sì, sono una docente precaria. Il mio percorso formativo è piuttosto lineare. Mi sono laureata in Scienze Filosofiche (laurea magistrale) nell’estate del 2008 presso l’Università degli Studi di Milano. Dopo la laurea la mia intenzione era quella di partecipare alla selezione per accedere alla SSIS, ma sfortunatamente quell’anno il governo decise di non attivare altri cicli di formazione della scuola di specializzazione. Dopo quattro anni sono stati attivati i Tfa, ho partecipato alle selezioni (test preselettivo, prova scritta e prova orale) e le ho superate. Dopo aver frequentato corsi (e superato i relativi esami) di pedagogia e didattica speciale, pedagogia dei processi di apprendimento e di insegnamento, pedagogia sperimentale e ricerca educativa, storia della scuola e professionalità docente, didattica della filosofia, didattica della storia, laboratori di lettura e interpretazione del testo filosofico e delle fonti storiche, tirocinio indiretto e diretto, ho conseguito l’abilitazione all’insegnamento (avendo superato l’esame finale) presso l’Università degli Studi di Catania nell’estate 2013. Dal 2014 sono inserita nella seconda fascia delle graduatorie di istituto e posso ambire a supplenze brevi o sperare nella maternità di qualche collega.

 

Un percorso formativo ben definito…
Si, è stato un percorso formativo piuttosto lineare (la laurea, un corso di perfezionamento in “Philosophy for children” presso l’Università di Padova e il TFA). Molti miei colleghi hanno altri titoli accademici (dottorati di ricerca, master etc.), pubblicazioni e anni di esperienza nel campo dell’insegnamento. È importante sottolineare questi aspetti perché se la responsabilità dell’alta percentuale di bocciature alle prove scritte del concorso docenti 2016 viene attribuita alla scarsa preparazione dei candidati, allora si sta mettendo in discussione la qualità della formazione offerta dalla scuola pubblica italiana degli ultimi trent’anni. Inutile dire che sia io che la maggior parte dei miei colleghi abbiamo conseguito i nostri titoli con il massimo dei voti.

 

Come è nata l’idea di unirvi in un gruppo? Spiegaci il contenuto del testo dato Faraone
L’idea di creare un gruppo è nata dopo aver appreso i risultati delle prove scritte della nostra classe di concorso (A019 – Filosofia e Storia -): più del 74% di docenti non ammessi alla prova orale, con percentuali che superano il 90% in Sicilia, Calabria e Sardegna. Eravamo consapevoli fin dai giorni delle prove scritte che le nostre prove (e non solo le nostre, viste le testimonianze dei colleghi delle altre classi di concorso che avevano sostenuto le prove scritte nei giorni precedenti) erano state strutturate in modo del tutto squilibrato e scorretto. Troppo poco tempo per svolgere quesiti che chiedevano di trattare temi molto ampi e articolati. Consapevoli del fatto che la responsabilità del nostro insuccesso fosse da attribuire a limiti oggettivi riscontrabili nei singoli quesiti e anche nella struttura stessa delle prove, abbiamo deciso di analizzarli tutti criticamente individuando tutti gli aspetti che li rendono illogici e ambigui. Nel documento che abbiamo consegnato al sottosegretario Faraone abbiamo dimostrato che le prove concorsuali non hanno misurato ciò che intendevano misurare (le competenze didattiche, pedagogiche e disciplinari), ma semplicemente selezionato docenti rinunciando a ricercare la qualità e il merito.

Gli elementi più significativi emersi dalla nostra analisi sono: l’incongruità del tempo a disposizione dei candidati per rispondere in modo esaustivo alle domande (18 minuti, ad esempio, per ricostruire e periodizzare in una serie di elezioni dall’approccio interdisciplinare le ragioni, l’andamento e i lasciti della diffusione globale dell’Islam dal VII al XX secolo individuando una fonte e un riferimento bibliografico), la mancanza del tempo della pensabilità (il tempo necessario per far maturare i concetti e riordinare le idee), l’ambiguità dei quesiti (che cos’è, per esempio, un itinerario didattico tematico? Si deve strutturare come un UdA o si riferisce solo ai contenuti?).

Abbiamo analizzato le prove anche sotto il profilo docimologico dimostrando che non possono essere considerate valide perché non hanno rispettato i criteri della validità, dell’attendibilità e della funzionalità. Ci siamo interrogati, infine, intorno alla validità delle griglie di valutazione e ci siamo resi conto che, vista la tipologia di prova, la discrezionalità delle commissioni ha lasciato il passo al mero arbitrio (come si può valutare la pertinenza se i quesiti sono ambigui? Come è possibile valutare la completezza se il tempo a disposizione per rispondere in maniera esaustiva alle domande è insufficiente vista la vastità dei temi da trattare? Che attendibilità ha la valutazione della correttezza linguistica se la maggior parte dei candidati, visto il poco tempo a disposizione, non ha potuto rileggere il proprio elaborato? Gli errori di battitura (essendo la prova computer based) sono errori da conteggiare? In che modo è possibile valutare l’originalità se i candidati, per la mancanza di tempo, hanno dovuto accontentarsi di elaborare risposte banali, superficiali e frutto di libere associazioni?).

 

Ci racconti la sua esperienza da concorsista
Ricordo ben poco dei giorni delle prove e non è un caso. In 150 minuti io e tutti gli altri candidati abbiamo dovuto rispondere a quesiti che abbracciavano l’intera storia della filosofia (nella prima prova) e la storia dell’umanità (nella seconda prova) senza avere a disposizione neanche dei fogli sui quali fosse possibile fare uno schema per organizzare le idee (al contrario di quanto è sempre accaduto nei concorsi precedenti). 150 minuti avendo sempre sotto gli occhi la barra del tempo che scandiva il ritmo dei nostri pensieri diventando rossa negli ultimi 30 minuti. Abbiamo iniziato a scrivere abbandonandoci a veri e propri “flussi di coscienza”, vista l’incongruità del tempo a disposizione, producendo risposte in cui la funzione logico-razionale-argomentativa è stata sostituita da una non ben definita “rassegna sintetica” di argomenti impossibili da descrivere nei tempi concessi.

 

Secondo lei perché tanti docenti abilitati non hanno passato la prova?
Come ho già detto in precedenza, secondo me e secondo gli altri colleghi che hanno sottoscritto il documento, tanti docenti abilitati non hanno superato la prova scritta perché la prova (come si evince dall’analisi presente nel nostro documento) è stata concepita per eliminare il maggior numero di docenti possibile e non per selezionare i migliori. A volte penso che se il MIUR avesse deciso di selezionare i vincitori del concorso con un’estrazione a sorte forse avrebbe utilizzato uno strumento più equo e avrebbe evitato l’ingiusta umiliazione pubblica che i docenti non ammessi hanno dovuto subire da gran parte della stampa nazionale. È importante ricordare che il concorso 2016 era riservato ai soli docenti abilitati (SSIS, TFA, PAS) e che la maggior parte di loro (TFA e PAS) si è abilitato al più tardi nel 2013. Un’ulteriore prova del fatto che la maggior parte dei candidati fosse preparata e aggiornata in merito ai più recenti indirizzi pedagogico-didattici promossi dal MIUR.

 

Come giudica la legge 107? Cosa si salva secondo lei?
Io penso che la legge 107 rappresenti l’epilogo del processo di privatizzazione della scuola pubblica italiana iniziato nel 2000, a seguito della legge n. 59 del 1997 e del DPR 275/1999, con il riconoscimento della personalità giuridica e dell’autonomia alle istituzioni scolastiche. L’introduzione della figura del dirigente scolastico, l’evoluzione in senso verticistico del processo decisionale e la concentrazione di poteri nelle mani di una sola figura (fino all’introduzione della chiamata diretta con la legge 107) ha progressivamente ridotto lo spazio per le scelte collegiali e distolto l’attenzione dalle tematiche prettamente didattiche e pedagogiche. La logica aziendalistica che ormai permea tutte le istituzioni scolastiche e che trova la sua massima espressione nella legge 107 ha, di fatto, modificato l’approccio alla formazione: gli studenti sono clienti che vanno soddisfatti e i docenti si devono adeguare alle nuove esigenze di mercato. La libertà di insegnamento è in serio pericolo nel momento in cui il dirigente scolastico può decidere del futuro del docente (dalla chiamata diretta al nuovo sistema di reclutamento previsto dalla legge).

 

Andrea Carlino

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