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Concorso ds, candidati a difesa della graduatoria: non demonizziamo i test a risposta multipla e la prova orale

L’8 ottobre si discuteranno alcuni ricorsi presentati da aspiranti dirigenti scolastici che contestano la valutazione dei titoli e delle prove nell’ambito del concorso indetto dal DM 107/2023. Tale procedura prevedeva una prova scritta, senza banca dati, composta da 100 quesiti che copriva una vasta gamma di argomenti complessi e specialistici, mettendo alla prova non solo la conoscenza teorica, ma anche la capacità di analizzare, ragionare rapidamente e applicare la normativa e le competenze; una prova orale per i colleghi che avevano superato lo scritto.

Un percorso che si è affrontato con grande serietà e impegno. Tuttavia, alcuni ricorrenti sostengono che la valutazione dei titoli, a loro interpretazione, non sia stata adeguatamente considerata. È importante notare che circa il 54 % dei candidati ha ottenuto un punteggio pari o superiore a 70 punti, mentre il rimanente ha ottenuto punteggi appena sufficienti o poco più, ed è proprio quest’ultima parte a chiedere una supervalutazione dei titoli per compensare una carente performance concorsuale.

La richiesta muove da una lettura distorta del bando (lex specialis), un’interpretazione non conforme al dispositivo e al suo senso letterale, che viene strumentalmente utilizzato per assecondare delle richieste infondate. E’ possibile individuare e assumere dei dirigenti scolastici mediante un avviso di selezione? No, non è consentito dalla legge, è vietato!!!

L’individuazione del personale dirigenziale avviene mediante procedura concorsuale disciplinata dal DPR 487/94, così come correttamente richiamato in premessa e nel DM 107/2013 “Concorso riservato, per titoli e esami per l’accesso ai ruoli del personale Dirigente Scolastico”.  Si legga con attenzione, CONCORSO e non selezione, per la cui individuazione è stato emanato un BANDO (lex specialis) e non un avviso, la cui disciplina è stabilita dal regolamento sopra richiamato, come salvaguardia e tutela dell’intera procedura.

Non esistono nel nostro ordinamento differenti modalità di individuazione per l’accesso ai ruoli della dirigenza scolastica e a nulla valgono strumentali letture e/o interpretazioni di alcune parti della lex specialis, che va letta nella sua interezza.

Questa situazione ha creato un clima di sfiducia, soprattutto tra chi ha studiato intensamente, sacrificando tempo e risorse personali per contribuire al miglioramento del sistema scolastico. Molti si sono trovati di fronte a una visione distorta del concorso, in cui si cerca di far prevalere una supervalutazione dei titoli a discapito del merito dimostrato nelle prove.

In particolare, chi sostiene la prevalenza dei titoli accetta che il punteggio della prova, che originariamente valeva 100 punti, venga ridotto a 10, ma pretende che il valore dei titoli resti inalterato a 30 punti. Il riferimento è il DM 107 del 2023, dove si afferma che i candidati che sostengono la prova di cui all’articolo 8 sono inseriti in un elenco graduato sulla base del punteggio ottenuto nella prova di accesso al corso intensivo di formazione (di cui all’articolo 7) e dei titoli valutabili ai sensi della Tabella A allegata al DM n. 138/2017, posseduti alla data del 29 dicembre 2017, e dei titoli di precedenza.

Tuttavia, nel decreto non è esplicitamente indicato che al punteggio della prova devono essere sommati i titoli in trentesimi. La parola “somma” non viene mai utilizzata nel testo. Il Regolamento non prevede una “somma” automatica tra punteggi e titoli, ma rimanda esplicitamente a una struttura di valutazione che rispetti i principi di proporzionalità definiti dalla normativa vigente, il DPR 487/1994. Secondo la predetta norma che disciplina i concorsi pubblici, come fonte di rango superiore, infatti, i titoli non possono avere un peso superiore a un terzo del punteggio complessivo. Pertanto, proporre una simile valutazione tra titoli e prova è non solo contro la legge, ma anche in conflitto con il principio meritocratico su cui si basano i concorsi pubblici.

Chi propone la valutazione “magnanima” basata su 10 punti per la prova scritta e 10 punti per i titoli si appella a due articoli : art. 6, comma 2 del Bando di concorso (DM 107 dell’08/06/2023) “Il punteggio così ottenuto va convertito su base decimale mantenendo la frazione decimale eventualmente conseguita dal candidato”, e all’ articolo 5, comma 11-sexies del decreto legge n. 198 del 2022 in cui si legge  “conversione su base decimale del punteggio attribuito ai titoli in conformità al punteggio della prova di cui all’articolo 5, comma 11-sexies del decreto legge n. 198 del 2022”.

Tuttavia, questi articoli non indicano in alcun modo che il punteggio debba essere convertito in “decimi”, la “conversione su base decimale” fa semplicemente riferimento a un’operazione matematica che riduce i punteggi mantenendo intatto il rapporto proporzionale originale, senza trasformare tutte le componenti in un sistema di valutazione su base 10.

Il Ministero ha applicato correttamente la conversione prevista dal DM 107/2023, riducendo il punteggio massimo della prova scritta da 100 punti a 10 punti e il punteggio massimo dei titoli da 30 punti a 3 punti. Questo processo mantiene lo stesso rapporto tra i punteggi originali, rispettando il criterio matematico previsto dall’art. 8 del DPR 487/1994, secondo cui “per i titoli non può essere attribuito un punteggio complessivo superiore a un terzo del punteggio complessivo”. Quindi, anche dopo la conversione, il punteggio massimo combinato è 10 (per la prova) + 3 (per i titoli), ovvero 13 punti.

È fondamentale comprendere che i quesiti a risposta multipla non sono affatto banali “crocette da mettere”, come sostengono alcuni. Al contrario, rispondere correttamente a questi quesiti richiede una preparazione profonda, frutto di anni di studio e dedizione. Ogni domanda è stata progettata per verificare non solo le competenze generali dei candidati, ma anche la loro capacità di affrontare situazioni complesse in ambito scolastico e amministrativo. È, quindi, incomprensibile come si possa affermare che il test “a crocette” sia una modalità di valutazione inferiore rispetto ad altre tipologie di prova.

Rispondere a 100 domande in un tempo limitato richiede prontezza mentale, capacità di discernimento e una padronanza delle materie trattate che non può essere frutto di una preparazione superficiale.

Affermare che il test “a crocette” o la prova orale siano strumenti di valutazione di scarso valore è non solo riduttivo, ma anche fuorviante. In molte procedure concorsuali pubbliche, sia in Italia che all’estero, il test a risposta multipla viene ampiamente utilizzato proprio per la sua capacità di garantire una valutazione rapida, oggettiva e imparziale delle competenze dei candidati. Lo stesso vale per la prova orale, che permette di misurare competenze trasversali, come l’abilità di affrontare situazioni complesse e di gestire scenari scolastici e amministrativi in modo efficace.

Nessuno è contrario alla valutazione dei titoli, ma è essenziale che questi abbiano il giusto peso, senza in alcun modo sminuire il valore della prova concorsuale sostenuta che rappresenta un metodo di valutazione solido, in grado di dimostrare concretamente la preparazione acquisita.

Gli aspiranti dirigenti
“Sosteniamo la graduatoria ministeriale”

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