La recente lettera del lettore che ha “quasi 35 anni e da alcuni anni insegna Religione Cattolica nelle Scuole Statali” è estremamente significativa.
Lamenta, comprensibilmente, la precarietà del contratto di lavoro, e invoca, di conseguenza, un concorso “per gli insegnanti di Religione Cattolica, che non viene bandito dal lontano 2004”, rivolgendosi direttamente al Presidente del Consiglio, “visto che nell’ambito della nostra comunità ecclesiale non si trova alcun riscontro, preferisco rivolgermi al Vostro Governo”.
Il bersaglio della sua invettiva infatti è molto chiaro: “i direttori degli Uffici Scolastici Diocesani, tanto laici quanto chierici, sono fortemente avversi ad un concorso perché con i contratti a tempo indeterminato non potrebbero più far pesare su di noi il terrorismo psicologico più o meno velato che si nasconde dietro la continua minaccia di licenziamento qualora qualsiasi motivo, anche di carattere personale, porti loro a prendere liberamente questa decisione”. È proprio quanto denuncia da sempre chi auspica l’abolizione di tale materia confessionale a scuola. È alquanto straniante tuttavia sentirlo ripetere oggi proprio da un suo insegnante.
Ricapitolando: qualcuno impiega alcuni anni della propria vita a studiare improbabili discipline non riconosciute dal sistema accademico pubblico, come teologia o scienze religiose; ottiene poi, grazie alla Diocesi, un posto di lavoro come docente di religione cattolica; si impegna di conseguenza a una “testimonianza di vita” coerente col Magistero della Chiesa; svolge l’agognata “missione educativa e cristiana” per diversi anni; ad un certo punto però accusa in pubblico, sebbene in cautelosa forma anonima, la Diocesi di praticare il terrorismo psicologico, la minaccia, l’arbitrio, l’invadenza nella sua vita personale; aspira dunque a vivere sereno, libero di scegliere e proclamare quel che preferisce; implora di conseguenza allo Stato che già lo paga di assumerlo stabilmente; piatisce un concorso che, per legge, non prevederebbe alcuna verifica di competenze disciplinari (esclusiva della Diocesi). Fermo restando che requisito per poter partecipare al concorso e per poter insegnare dopo averlo superato resta comunque l’idoneità concessa e sempre revocabile dalla Diocesi.
Alcune domande nei suoi confronti sorgono allora spontanee: qualcuno l’ha mai costretto ad intraprendere tale peculiarissimo percorso? Forse ha maturato negli anni una distanza dagli insegnamenti cattolici ma ormai avrebbe difficoltà a trovarsi un altro lavoro? Ritiene oggi che non dovrebbe esistere una materia scolastica nelle mani delle gerarchie ecclesiastiche eppure continua a insegnarla? La scuola si riduce, dunque, ad un parcheggio con reddito assicurato?
Andrea Atzeni
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