Eccoci qui alla vigilia (almeno per alcune cdc) della seconda fase del concorso ordinario PNRR
(DM 26 ottobre 2023 n.206), il concorsone per entrare di ruolo nella scuola.
È proprio di questo che vorrei parlare: di quale ruolo si tratta?
Ognuno di noi, dopo la fine del percorso scolastico, ambisce a trovare un ruolo nella società, una società sempre più caotica che ci schiaccia e ci livella giorno dopo giorno, riducendoci a meri automi senza ruolo e senza giudizio, erogatori di servizi senza senso e acquirenti senza discernimento.
Il concorso, questa volta, ha previsto le seguenti fasi (sì, questa volta perché non esiste una modalità specifica, ma al ministero “piace cambiare”):
Test con 50 domande (rivelatesi facilissime, quindi senza una selezione reale rispetto ai pochissimi posti messi a bando)
Orale con traccia estratta 24 ore prima (progettazione della lezione da parte del candidato nella sua sudata cameretta e poi, il giorno dopo, esposizione alla commissione)
Estrazione sul momento di una seconda domanda
Domanda di inglese
Nell’ultimissima fase di questo concorso, dunque, ci si ritrova in balia del caso e della dea bendata che, proprio nella stessa logica dei quiz televisivi (“quale busta vuole, la uno la due o la tre?”), pone davanti a una domanda pescata nel mare magnum della conoscenza a cui il candidato deve rispondere, altrimenti è fuori.
Gli Ittiti, Carlo V d’Asburgo, la Riforma Protestante, i fiumi, il nucleo della Terra, Il Notturno di D’Annunzio, la riforma dei Gracchi, la Seconda Guerra Mondiale… potrei andare avanti per ore, anzi, per 35.000 anni di storia e 900 di letteratura. Da conoscere, tutto.
Mentre studio, mi ritrovo a sorridere dell’assurdità della situazione: cosa avrebbe pensato Assurbanipal, il grande re degli Assiri, se avesse saputo che una stremata trentenne, in un orrido e caldissimo luglio del 2024, deve conoscere le caratteristiche del suo regno per poter… vivere, guadagnarsi da vivere? È proprio di questo che si tratta: superare il concorso assicura il ruolo nella scuola e dunque un contratto a tempo indeterminato, che non è solamente uno strumento pensato per creare una massa di nullafacenti, come la società turbo-capitalista e amante del self-made man ama pensare, ma per assicurare a delle persone che hanno studiato per tanti anni, la sicurezza di un futuro più certo e la possibilità di staccarsi dalla famiglia d’origine, per poterne formare una propria.
Tornando al ruolo del professore. Molto spesso sento miei colleghi che, per rincuorarsi dopo un concorso non passato o una nuova riforma appena uscita (aboliamo i 24 CFU, mettiamone 60 a pagamento), si cullano sui bigliettini pieni d’amore che i loro studenti gli lasciano a fine anno, sui regalini e sui complimenti degli stessi che, probabilmente, essendo precari, non rivedranno mai più.
Ecco, ci basta solo questo? Una classe lavoratrice, che ha studiato e che si è impegnata per raggiungere i propri obiettivi professionali, invece di chiedere certezze al ministero, appoggio ai sindacati per lottare per i propri diritti, di cosa si accontenta? Di bigliettini con dei cuoricini, di ricominciare ogni anno da capo, di fare le valigie il 31 agosto per partire lontano e di vagare nel labirintico sistema delle normative e degli emendamenti.
Si legge spesso, da emeriti professori settantenni (quindi figli di una situazione socioeconomica praticamente assimilabile ad Assurbanipal), che gli studenti non rispettano più i professori perché questi ultimi li ascoltano troppo o troppo poco, non riescono a farsi rispettare, non riescono ad appassionarli!
Io dico, in primo luogo, che la passione per la nostra materia molto spesso è soverchiata dalle ansie e angosce di un futuro incerto, dall’inflazione galoppante e dal nostro ruolo che nella scuola è sempre più assimilabile a delle comparse inascoltate, anche dai loro stessi colleghi di ruolo.
L’aspetto che ritengo più interessante che, come conseguenza, porta al mancato ascolto da parte degli studenti è la disarmante incoerenza e lo scollamento rispetto al mondo reale.
Gli insegnanti entrano in classe portatori di valori che sono lontanissimi dalla vita reale e che gli studenti non riconoscono più, e hanno ragione! Non sono gli influencer portatori di una visione erronea della realtà, anzi, sono loro che incarnano esattamente il fluire e il sentire dei nostri giorni.
Il professore che, in quanto tale, professa (e mi riferisco soprattutto al lato umanistico del quale faccio parte) una visione più egualitaria, più cooperativa e civica della società, è completamente scollegato da essa tanto che poi è schiacciato da contraddizioni interne: per iniziare a lavorare molto spesso lavora presso istituti privati in cui è sottopagato e ricattato per il tanto agognato punteggio; quei pochi soldi che guadagna, poi, dovrà metterli da parte per potersi pagare corsi erogati da altrettanti istituti privati, grazie ai quali, forse, potrà iniziare un’ascesa in graduatoria schiacciando altri colleghi che quei soldi per pagarsi i corsi non ce li hanno.
Chi tra queste figure è più lontano dalla realtà?
Forse Assurbanipal, ma noi intanto ce lo studiamo lo stesso!
Laura Ingrosso,
una precaria di ruolo.
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