Il congedo parentale è un periodo di astensione facoltativo dal lavoro concesso ai genitori per prendersi cura del bambino nei suoi primi anni di vita e soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali.
Il congedo parentale è rivolto a lavoratrici e lavoratori dipendenti.
L’indennità di congedo non spetta a:
Così come segnala l’Inps, il congedo parentale spetta ai genitori naturali, che siano in costanza di rapporto di lavoro, entro i primi 12 anni di vita del bambino per un periodo complessivo tra i due genitori non superiore a dieci mesi.
I mesi salgono a 11 se il padre lavoratore si astiene dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato di almeno tre mesi. Tale periodo complessivo può essere fruito dai genitori anche insieme.
Se il rapporto di lavoro cessa all’inizio o durante il periodo di congedo, il diritto al congedo stesso viene meno dalla data di interruzione del lavoro.
Considerato il limite previsto, il diritto di astenersi dal lavoro spetta:
Ai lavoratori dipendenti che siano genitori adottivi o affidatari, il congedo parentale spetta con le stesse modalità dei genitori naturali, quindi entro i primi 12 anni dall’ingresso del minore nella famiglia indipendentemente dall’età del bambino all’atto dell’adozione o affidamento e non oltre il compimento della sua maggiore età.
In caso di parto, adozione o affidamento plurimi, il diritto al congedo parentale spetta alle stesse condizioni per ogni bambino.
La legge 24 dicembre 2012, n. 228, ha introdotto la possibilità di frazionare a ore il congedo parentale, rinviando tuttavia alla contrattazione collettiva di settore il compito di stabilire le modalità di fruizione del congedo su base oraria, nonché i criteri di calcolo della base oraria e l’equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa.
Con il comma 485 della legge di Bilancio 2019 viene modificato l’articolo 16 del Dlgs 151/2001, introducendo una nuova disciplina e regolamentazione riguardante il congedo di maternità flessibile.
Il governo Conte ha introdotto una nuova disciplina del congedo di maternità flessibile che prevede – in alternativa all’ipotesi canonica (un mese prima e quattro dopo il parto) – la facoltà per le lavoratrici di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo il parto per i cinque mesi successivi alla nascita, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arreca pregiudizio alla salute delle medesime e dei nascituri.
Se questo provvedimento permette alle lavoratrici di rimanere al lavoro fino al giorno prima del parto, fruendo del congedo esclusivamente nei cinque mesi che seguono l’evento, non si perde però l’altra declinazione della maternità flessibile: la lavoratrice in
gravidanza, infatti, può scegliere di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto, cioè dal nono mese di gravidanza e fino al quarto mese successivo al parto.
Il comma 278 della legge di Bilancio 2019 integra la disciplina del congedo obbligatorio di paternità, già dettata dalla legge di Bilancio 2017. Nel merito, la disciplina tiene ferma la regola secondo cui del congedo “il padre lavoratore dipendente” deve “fruire entro i 5 mesi dalla nascita del figlio”, anche in via non continuativa.
La novità introdotta riguarda il fatto che i giorni di congedo, obbligatori e retribuiti, passano dai 4 previsti nel 2017 (già raddoppiati rispetto ai 2 previsti fino al 2016) a 5, e possono essere utilizzati insieme al congedo materno.
Come per il 2018, anche per il 2019 il padre potrà fruire di un’ulteriore giornata di congedo, previo accordo con la madre lavoratrice e in sua sostituzione, all’interno del periodo di astensione obbligatoria.
Per quanto riguarda i padri lavoratori dipendenti da amministrazioni pubbliche, il Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha chiarito che il Ministro per la Pubblica Amministrazione dovrà approvare una norma che individui e definisca gli ambiti, le modalità e i tempi di armonizzazione della disciplina.
Infatti, il congedo obbligatorio e quello facoltativo del giorno in alternativa alla madre, si applicano solo al lavoratore del settore privato. La normativa sul congedo di paternità fa riferimento alla Legge n.92 del 28 giugno 2012 e da allora si è in attesa delle disposizioni necessarie all’applicazione per i dipendenti pubblici.
Sono passati quindi ben 6 anni e mezzo e il legislatore non è ancora riuscito ad armonizzare le norme senza creare disparità.
Attualmente, le pubbliche amministrazioni devono, quindi, farsi rilasciare dalle proprie dipendenti in congedo di maternità obbligatoria, una dichiarazione in cui le stesse, sotto la propria responsabilità, debbono attestare se il padre del proprio figlio abbia o meno fruito dei giorni di congedo facoltativo in questione e, in caso di risposta affermativa, ridurre, di conseguenza, il congedo obbligatorio della madre.
Ai genitori lavoratori dipendenti spetta:
Il “Testo Unico per la tutela e il sostegno della maternità e della paternità” regolamenta i principi che sono orientati a favorire la conciliazione dei tempi di famiglia e lavoro, è stato
emanato dal Dlgs 151/2001.
Insieme con il Dlgs 80/2015 che, in attuazione del Jobs Act, ha apportato importanti modifiche alla disciplina dei congedi parentali, i due testi costituiscono il più importante riferimento normativo italiano in materia di tutela per i genitori.
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