Può essere considerato uno sport nazionale. Offrire cioè consigli, da addetto ai lavori, ai nuovi Ministri.
Parlo qui del nuovo ministro dell’istruzione, Stefania Giannini, terza ex-rettore universitario, quindi digiuna del mondo della scuola.
Un incarico, è giusto dirlo, di secondo piano, rispetto ai principali dicasteri e ai tanti appetiti. Conferma, purtroppo, che il futuro delle nuove generazioni, e quindi del nostro Paese, continua a non essere una priorità, nemmeno per il giovane premier.
Alcuni suggerimenti, dicevo, da chi si trova in prima linea.
1) Partire, nelle analisi e nelle scelte, dalla “scuola reale”, non dai dati statistici, gli unici che conoscono i burocrati ministeriali;
2) Il che significa, impostare un quadro riformatore che sconfessi l’imperante “centralismo”, assegnando alle scuole un reale ruolo sussidiario, nella gestione delle risorse, del personale, dell’innovazione, vincendo il pregiudizio mai cancellato verso “l’etica della responsabilità”: un ministro ed il suo ministero devono regolare le modalità del diritto allo studio, non gestirlo, perché la gestione migliore, anche in termini di risparmio, è sempre di chi si trova nel cuore della realtà.
3) Questa logica sussidiaria richiama, nel contempo, il compito di indirizzo, ma anche di verifica sul campo, dei risultati del “servizio pubblico scolastico”, in un contesto normativo semplificato, leggibile, trasparente, mentre oggi domina la confusione normativa, e quindi una concreta e diffusa irresponsabilità intorno ai processi e ai risultati,
4) Il marasma normativo va semplificato, dunque, anche con azione di forza (alias, “di responsabilità”), perché ostacola qualsiasi spinta alla innovazione, consegnando nei fatti tutto il potere ai burocrati.
5) Riprendendo una battuta, “la scuola di oggi forma i ragazzi di domani con gli insegnanti di ieri”. Una buona scuola, lo sappiamo tutti, dipende dai buoni presidi e dai buoni insegnanti. Eppure, se diamo un’occhiata al reclutamento del personale, ha ragione Sabino Cassese, notissimo studioso amministrativo: “la Pubblica Amministrazione non sa chi vuole, non lo cerca e non lo forma”.
6) Questo significa che, in quella logica di irresponsabilità diffusa, oggi non è possibile nominare nelle classi i migliori insegnanti, per una norma antiquata e ingiusta: l’anzianità di servizio come unico criterio. Nonostante tanti docenti in gamba, da preside non posso premiarli, riconoscere il merito, il valore e la passione. Senza queste premialitá, perché mai un laureato bravo dovrebbe scegliere la non-carriera scolastica? È diventata, nel mondo del lavoro di oggi, una seconda scelta, di ripiego.
7) La parola chiave è dunque presto detta: valutazione. Dei presidi, dei docenti, degli operatori scolastici, del sistema organizzativo, dell’offerta formativa, delle nuove domande culturali.
Come si vede, poche idee, chiare, misurabili, coinvolgenti. Oltre tutte le autoreferenze ed i corporativismi, ma oltre anche tutti gli schemi ideologici che governano, più di ogni altro settore sociale, il mondo della scuola. Si tratta di ripensare il significato di “servizio pubblico”. Cosa non scontata, al di là delle solite retoriche.
Gianni Zen
Preside del liceo “Brocchi”
Bassano del Grappa (Vi)
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