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Consultazioni e governo, i punti per rilanciare la Scuola italiana

La Scuola continua a guardare con qualche interesse le consultazioni politiche necessarie alla nascita di un nuovo governo, possibilmente rispettoso della volontà popolare.

Il voto popolare ha spaccato in due il Paese: al Nord lungo la linea della   flat tax e al Sud sul crinale del “reddito di cittadinanza”. La competizione elettorale era figlia del meccanismo del “dolore all’arto fantasma”: si è conteso politicamente il consenso facendo finta di avere un sistema elettorale maggioritario mentre non c’era più (l’arto fantasma)…al suo posto c’era il “Rosatellum”, un ibrido proporzionale dove il processo di coalizione avviene anche e soprattutto “dopo” in Parlamento.

Quindi abbiamo la rinascita di tutte le logiche “proporzionaliste” e dove – particolare sfuggito a Rignano perché erano impegnati a trovare l’equivalenza elettorale tra il 40% delle europee e il 40% della sconfitta referendaria – non ci sarebbe spazio per leader “divisivi” come Renzi.

Nel frattempo alcune cose sono successe….la Scuola è scomparsa dal cruscotto politico di t-u-t-t-e le formazioni parlamentari se non in termini di slogan, ormai anche questi residuali e rarefatti….del resto anche in campagna elettorale non c’erano grandi tracce sulla Scuola.

Ovviamente queste sono le premesse, rimane da capire come sarà il comportamento politico dell’eventuale maggioranza parlamentare rappresentativa del nuovo governo, ammesso e non concesso che non si ritorni a votare.

Facciamoci qualche domanda e proviamo a dare qualche risposta.

PERCHE’ LA SCUOLA E’ IMPORTANTE NELLA NOSTRA SOCIETA’?

Per tutte le ragioni che sappiamo, più una che appare evidente e diamo per scontata: la Scuola è  l’ultimo spazio di “democrazia”.

Ormai quasi solo a Scuola c’è spazio per il pluralismo di idee, di situazioni  che si riflettono in una “collegialità” intrinseca al sistema e in una sintesi organizzativa e etica che “tiene dentro tutti” in linea con lo spirito e l’essenza della nostra Costituzione…..già la nostra importantissima Costituzione, anche perché è costituzionalizzato “lo stato sociale”, è una costituzione Keynesiana: illuminata e longeva perché uscita dal conflitto mondiale.

Quindi tutto questo non è compatibile con le visioni egoistiche dell’ordo-liberismo: la democrazia è meglio se è “essenziale”, i diritti sono degradati a interessi legittimi o alla “cosmesi dei diritti”, il totem del mercato (che è figlio dell’efficientismo competitivo e meritocratico che riconosce solo i “diritti” che ti puoi economicamente permettere).

Alla luce di questo appare molto chiaro il progetto dell’  “aziendalizzazione” della Scuola, non solo in termini organizzativi ma anche “etici”….. tuttavia il tentativo di mettere il vestito liberista alla Scuola della Costituzione non sta riuscendo se non in termini di degrado della scuola statale.

Tale deterioramento è tutto sommato funzionale all’ “opificio Italia” dei bassi salari, dove chi lavora è povero……già l’alternanza scuola-lavoro che dovrebbe e doveva far “trovare lavoro”…… magari anche “i posti migliori”, ………peccato che nel frattempo “l’ascensore sociale” si infrange con la distribuzione diseguale del reddito nel nostro Paese.

La distribuzione del prodotto sociale è sempre più a vantaggio di pochi contro moltissimi: siamo il Paese europeo che ha il più alto numero di poveri in termini di valore assoluto.

L‘evoluzione dello studente da cittadino a lavoratore, da allievo a utente  “customer satifaction”, non riesce a mantenere le sue mirabolanti promesse.

La Scuola della Costituzione è Keynesiana!

 QUALI SONO I PERICOLI SULLA DEMOCRAZIA E I RIFLESSI NELLA SCUOLA?

La Democrazia non è perfetta, tuttavia è l’unico sistema politico dove “i voti si contano e non si pesano”, diciamo, con ironia, che a distorcere la volontà del popolo ci pensano “i sistemi elettorali” con premi di maggioranza incostituzionali.

Quindi cercare di governare con il 20% “come fa Macron” potrebbe far scivolare verso “il partito unico” e da qui ad arrivare alla dittatura non ci vuole molto.

La Storia insegna che ciò che non si è compreso è destinato a ripetersi: il PD da Veltroni in poi e soprattutto con Renzi, si è spostato al “centro” perché doveva aumentare il consenso..ed è andata come è andata: ma poiché la lezione non è stata compresa è destinata ripetersi  nell’OPA politica verso il partito di Berlusconi, cioè la “nuova strategia” del partito unico della nazione rignanese.

Le visioni politiche simili ai cartelli di minoranza che governano le Pubblic-Company, probabilmente sono destinate ad aumentare: peccato che sono intrinsecamente antidemocratiche!

La Scuola e in generale il Settore universitario, danno maggiori garanzie di seguire “l’interesse generale” se sono statali e se sono “collegiali”.

Le ricerche scientifiche “minoritarie” possono trovare spazio solo in un sistema sociale che preveda la “dignità” della minoranza e dove non tutto sia monetizzabile…diversamente come diceva il comico Guzzanti: se non sei stato eletto e se non hai avuto la maggioranza, le tue idee non possono essere dette..se no fai reato di opinione.

Solo una Scuola democratica accoglie tutti e prova a valorizzare ogni individualità.

Solo una scuola democratica rappresenta “l’ologramma della società civile”.

La mancata realizzazione dell’interesse individuale come miglior regolatore della distribuzione della ricchezza è sotto gli occhi di tutti, dobbiamo ritornare, per il bene della collettività, alla visione solidaristica della Costituzione keynesiana che ci hanno lasciato i partigiani e gli alleati.

La Scuola è un suo lascito: il più importante perché è l’opificio della democrazia, della produzione e riproduzione del modello democratico nella società civile. Quindi poiché esiste una distanza incolmabile tra “interesse generale” e “interesse individuale”, solo una Scuola laica ( non laicista) e statale copre  gli intessi dell’intera società civile.

PERCHE’ INVESTIRE NELLA SCUOLA E PAGARE MEGLIO GLI INSEGNANTI?

Perché l’investimento in capitale umano è, secondo la Banca d’Italia, l’investimento più remunerativo in termini economici.

Perché la Scuola crea i mercati tramite i consumatori: la Scuola del libro Cuore creava la centralità del mercato rurale, la “Buona Scuola” crea l’azienda competitiva e il lavoro gratuito nel paradigma “verticistico” che sostituisce “l’inefficiente e lenta” collegialità. La Costituzione crea la Scuola democratica e resiliente ,  incardinata nella libertà di insegnamento che permette “le ricerche minoritarie” offrendo un quadro completo della conoscenza, una Scuola per tutti e per ciascuno.

Lo status sociale nella società capitalista è legato allo status economico, le ricerche di sociologia del lavoro ci restituiscono situazioni dove in primis pagando meglio il personale ottieni una migliore qualità del lavoro prodotto.

Tali ricerche ci dicono anche che il totem del “giovanilismo” e giovinezza del lavoratore da preferire all’anzianità, è un totem che non ha basi scientifiche: non solo col passare degli anni anagrafici diminuiscono i neuroni, ma aumentano di superficie per più che compensare la perdita, ma ulteriormente ci dicono che il fattore “esperienza” è quello vincente in ogni contesto produttivo…almeno a lungo termine.

In realtà dietro queste opinioni dominanti del “mainstream” si nascondono inconfessabili calcoli ragionieristici del tipo “per qualche dollaro in più” di risparmio e di profitto racchiuso nei nuovi contratti di lavoro del jobs act.

Perché solo una scuola democratica è coerente con uno sviluppo sostenibile, che mi pare l’unico tipo di sviluppo che ci possiamo e dobbiamo permettere.

Perché dobbiamo riposizionarci, nell’ambito della divisione del lavoro internazionale, sulle “nicchie produttive, dove il Know How e in generale “la Conoscenza”,  sono quello che farà sempre di più la differenza.

Ma la differenza senza il reticolo della cultura è equivalente ad identificare l’essere umano come una cozzaglia di cellule con un qualche ordine: ci perdiamo praticamente tutto fossilizzandoci sui legami della Chimica Organica.

E LA BORGHESIA ITALIANA?

Diciamo che vive nel sogno delle esportazioni: esportiamo e va bene così, pazienza se la domanda interna è in caduta libera, sono settori “non competivi” e consumatori residuali…

Si vede tutta la debolezza di questa visione strategica, eppure “First America” dovrebbe spiegare qualcosa di molto semplice: che cosa succede se le esportazioni crollano e non si possono compensare con la domanda interna?

Si intuisce perfettamente che è una posizione di estrema fragilità, in termini finanziari è simile agli “investimenti baciati” in violazione del principio cardine della diversificazione…con tutte le conseguenze nel bene e nel male della mancata differenziazione.

Se siamo alla vigilia della conclusione del ciclo delle esportazioni, ci sarebbe l’interesse stesso di questa classe sociale a visioni politiche “solidaristiche” e “redistributive” che solo in un’ottica “sovranista” e “anticiclica” si possono immaginare.

Quindi Trump, o meglio l’establishment che c’è dietro di lui, non vedrebbe male un governo italiano “euroscettico” che per esempio ponesse problemi all’avanzo commerciale tedesco.

Insomma il mito che sotto la Germania “europea”, saremmo stati al riparo dai disastri finanziari ed economici, dal dumping sociale, dalla concorrenza asiatica…si sta affievolendo.

Presto anche la Germania avrà “i ritorni” delle sue politiche esportative verso la Cina e l’Asia, politiche che prevedevano esportazione di fabbriche “chiavi in mano” che magari vendevano i prodotti prevalentemente ai PIIGS…..insomma la borghesia internazionale è sempre per la competizione nel mercato del lavoro, un po’ meno in quello dei capitali, soprattutto se “personali”.

Negli States non è che interessava gran che dei salari di Detroit, tuttavia quando si sono accorti che “industrie strategiche” rischiavano di passare di mano verso altri stati, allora sono comparsi “i rischi della globalizzazione”.

C’è anche qui in Italia il problema della” successione”, sia in termini di capacità dei rampolli successori ma anche in termini di equità in quanto il trend a livello mondiale prevede quote enormi di ricchezza che “passano di mano” non per “lavoro” ma solo per “eredità”.

Se finisce il sogno delle esportazioni perenni, allora si rimpiangerà quel 25% di PMI perse nella crisi, si rimpiangerà amaramente la flessibilità economica che le piccole imprese hanno sempre offerto agli “shock di mercato”.

QUALE SAREBBE UN PROGRAMMA POLITICO CHE POTREBBE RILANCIARE LA SCUOLA?

Il programma politico o il “contratto di governo” di alleanza che permette di rilanciare la Scuola passa inesorabilmente per:

  • Il forte rilancio della domanda aggregata interna;
  • la ricostituzione in termini rapidi del 25% del tessuto produttivo perso per la crisi;
  • il rilancio della Scuola delle “relazioni” contro la Scuola delle “connessioni”.

Va da se che ciò si può fare solo rinegoziando le clausole europee, cioè con qualcuno che lo voglia fare e lo sappia fare.

Solo abbandonando la visione della Scuola come “bancomat” per le politiche di bilancio orientate ad aiutare chi non ne ha bisogno, possiamo svoltare.

Diversamente condanniamo l’opificio Italia a una posizione marginale nella competizione internazionale, a una fragilità intrinseca che ci spingerà sempre più a competere verso il basso – verso la Grecia – dove perderemo sempre e invariabilmente. Insomma una sorta di “mercato di consumo” con qualche nicchia “privilegiata” ma generalmente di basso profilo e ampiamente maturo.

Non è un programma bolscevico, l’imprenditorialità e la proprietà privata sono salvaguardate, ma è l’unico programma che permetterebbe di superare la visione “finanziaristica” della società, visione che si sta incrinando sempre di più anche a livello internazionale.

In altri termini auspichiamo la vera rinascita di un interclassismo riformista vesus l’ordoliberismo autoritario e la Scuola giocherebbe un ruolo strategico per il futuro del Paese.

E’ l’unico programma che può rilanciare la Scuola e l’Istruzione riconsegnando loro l’importante ruolo sociale e propositivo che avevano.

Nel frattempo ci tocca resistere ricordando le sempre attuali parole del 2002 del Procuratore Borrelli: “Ai guasti di un pericoloso sgretolamento della volontà generale, al naufragio della coscienza civica nella perdita del senso del diritto, ultimo, estremo baluardo della questione morale, è dovere della collettività “resistere, resistere, resistere” come su una irrinunciabile linea del Piave”.

In attesa degli aumenti stipendiali ormai “estivi”, buona giornata, se potete.

Giancarlo Memmo

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