Attualità

Contagi: siamo sicuri… che la scuola sia sicura?

Negli ultimi giorni il coordinatore del Cts (Comitato tecnico scientifico) Agostino Miozzo ha fatto molti interventi per sostenere la scuola in presenza, scelto come ospite dai conduttori di alcune trasmissioni televisive assai popolari.

“Ritengo che sia drammatico che abbiamo le scuole ancora chiuse”, ha detto Miozzo, a “Dimartedì”, in onda su La7. Appena 24 ore dopo Agostino Miozzo era presente anche nella trasmissione televisiva “Porta a porta” sui Rai1. Per il coordinatore del Cts è molto più alta la possibilità per i ragazzi di contagiarsi “passando la mattinata in un centro commerciale, al di fuori di un bar, in un’aggregazione non controllata”.

Pochi giorni fa aveva rilasciato una intervista al “Corriere della Sera”, in cui esprimeva un concetto simile: riferendosi alla Dad, Miozzo paventa che la chiusura delle scuole senza divieto di spostamento dà la possibilità ai ragazzi di uscire nel tempo libero, facendo in modo di incontrarsi nei locali o riunirsi in gruppo nelle case private.

Comunque durante la Dad i ragazzi non sono in giro (tranne chi “marina la scuola”) ma a casa in videolezione

Ma la ministra Azzolina ha avvertito il dott. Miozzo che la Dad nelle scuole (almeno nella maggior parte di esse) segue l’orario scolastico, con le lezioni in sequenza? Chiaramente con le pause necessarie per evitare di stare collegati al video senza soluzione di continuità: e questo vale anche per i docenti, ci mancherebbe! Quindi gli alunni o sono presenti alla lezione (pertanto non passano la mattinata in un centro commerciale, al di fuori di un bar o in un locale) o “bigiano” la scuola, cosa che potrebbero fare anche se le lezioni fossero in presenza.

E se in una occasione dice che “il momento scolastico è un momento di sicurezza, il contagio è precedente o posteriore nella gran parte dei casi”, in un’altra afferma che “i dati ci dicono che è difficile discriminare che l’infezione di un ragazzo sia avvenuta a scuola piuttosto che nei momenti precedenti o successivi” (cosa condivisibile, ma ben diversa dalla prima delle due affermazioni riportate).

Ma dottor Miozzo che differenza fa se gli studenti “prendono il virus” su un autobus, davanti alle scuole (spesso senza mascherine all’entrata o all’uscita, magari abbracciandosi fra di loro) o in un’aula scolastica?

Ciò varrebbe solo a fini statistici, il problema è che anche se si contagiano fuori, ad esempio a causa degli spostamenti con i mezzi pubblici (utilizzati peraltro da tante persone certamente meno “controllate” che a scuola) o degli assembramenti appena fuori dagli istituti scolastici, poi vengono a scuola con il virus e incontrano altri alunni (e se permette anche i docenti e magari altro personale scolastico: contano anche loro, no?), prima di rientrare a casa con il virus. Magari asintomatici.

Per capire quante persone tra studenti e personale entrano a scuola con il virus allora la soluzione è fare tamponi molecolari, o almeno test antigenici rapidi (anche salivari) utilizzati per intercettare i potenziali positivi. In questo caso, se uno studente risulta positivo viene sottoposto al tampone molecolare per confermare la diagnosi (non sono rari “falsi positivi”). E lo screening deve avvenire a scuola (evitando le ridicole e faticose attese del “drive in”: tra l’altro chi non ha l’auto si mette per ore in fila a piedi, magari tra un’automobile e un’altra?). Allora si vedrà davvero se la scuola possa essere considerata “un luogo sicuro” (a prescindere da dove sia stato contratto il virus).

La diffusione nelle scuole è sovrapponibile a quella di altri luoghi di contagio

Equilibrata sembra la posizione espressa dal presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, che (come leggiamo in un altro articolo pubblicato su questo sito, nel quale si riporta anche un sondaggio di Skuola.net in cui tra l’altro si rileva che circa la metà dei ragazzi afferma di stare “passando un periodo molto difficile e che la sua esistenza è stata letteralmente stravolta”, cosa che in realtà capita di pensare… anche agli adulti!) si è soffermato sulla scuola facendo intendere che non è un terreno “franco” per combattere il Covid-19: “c’è un monitoraggio che ha sviluppato il ministero dell’Istruzione mirato ad individuare eventuali focolai o presenza di casi nel mondo scolastico”.

“In realtà – ha proseguito Brusaferro – s’è valutato come la diffusione nelle scuole sia sovrapponibile a quella delle altre fasce del Paese. Quindi la scuola è tema fortemente monitorato”.

Peraltro anche il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha recentemente affermato che “in una pandemia la scuola non è intangibile”.

Ma la ministra Azzolina continua a ripetere che la scuola è un luogo sicuro e spinge per il ritorno in presenza citando il parere di Agostino Miozzo, ma non citando quello di altri medici (specialisti infettivologi, virologi, ecc.) che dicono che anche la scuola può costituire veicolo di contagio.

Quali le specializzazioni mediche all’interno del Comitato tecnico scientifico?

Peraltro qualcuno comincia a chiedersi (in realtà diversi miei colleghi giornalisti se lo erano domandati già da tempo) da chi sia costituito il Cts. Ebbene ha destato un certo clamore la dichiarazione di qualche giorno fa dell’infettivologo Matteo Bassetti, sollecitato da una domanda del conduttore di una trasmissione su La7: “nel Comitato tecnico scientifico non siede un prof. universitario di malattie infettive, un prof. di microbiologia, un prof. di virologia, un prof. di immunologia”.

Ed in effetti nel Cts se non andiamo errati non c’è nessun virologo, infettivologo, epidemiologo (c’è l’immunologo Franco Locatelli, pediatra oncoematologo, un luminare nel suo settore), tranne Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto nazionale per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani”. Agostino Miozzo dopo la laurea vanta come titolo un perfezionamento in chirurgia ostetrico ginecologica (conseguita, si legge nel suo curriculum, nel 1982).

La ministra Azzolina tra Dad, Ddi e didattica in presenza

Ma la domanda che andrebbe posta a chi deve tramutare in decisioni politiche i pareri degli esperti (in questo caso al titolare del Dicastero dell’istruzione) è questa: perché Lucia Azzolina ora preme sempre più per la didattica in presenza (ma non rinunciando alla Ddi, il cui contratto ha suscitato molte perplessità, come si sa tre sigle sindacali su sei non hanno firmato: Snals, Gilda degli insegnanti e Uil Scuola, il cui segretario generale Pino Turi ha sottolineato che “non ci si può affidare a provvedimenti amministrativi per materie così delicate e che cambiano i fondamentali rapporti sociali, i diritti e doveri contrattuali, senza considerare le prerogative costituzionali della libertà di insegnamento, solo declamate e non garantite; serve un vero contratto professionale se non proprio una legge quadro che introduca la didattica digitale integrata nelle scuole”) e in primavera la ministra era invece grande sostenitrice della Dad? Quando in realtà in quel periodo nelle regioni del Sud la situazione era molto più gestibile e assai meno rischiosa di oggi, visto che ora si riscontrano dati assai preoccupanti, anche se allora fu il lockdown generalizzato (nel Mezzogiorno d’Italia era forse evitabile, magari con restrizioni più limitate e gestendo meglio i “rientri” incontrollati da regioni del Nord?) a determinare la soluzione della didattica a distanza, che però la ministra sosteneva “con vigore”, per usare un eufemismo.

Sia chiaro, è un concetto che personalmente ho espresso più volte (evidenziando anche il rischio che invece qualcuno volesse istituzionalizzare la didattica a distanza): la Dad va utilizzata solo in situazioni emergenziali (o per potenziare ad esempio, in tempi “normali” dal punto di vista sanitario, contesti come “la scuola in ospedale”), ma la scuola vera è quella che si fonda sulle relazioni (e le lezioni) in presenza, e spero che tutti la preferiscano. Ma il problema è che ora sussiste una situazione emergenziale.

Il nonno, De Andrè e “lei che si sporgeva da ogni foglio”

Peraltro, la ministra, per avallare la tesi della necessità di fare didattica in presenza ad ogni costo, ha anche riportato sulla sua pagina facebook la lettera di un nonno che le ha scritto tra l’altro “vorrei ringraziarla di cuore per avere continuato a sostenere, per citare un grande poeta della musica italiana, in direzione ostinata e contraria, la necessità di mantenere la scuola aperta ai nostri bambini. Senza la sua insistenza mi sarei perso la gioia e l’entusiasmo con cui mia nipote mi racconta ogni giorno tutte le cose bellissime che sta imparando con la sua prima esperienza nella scuola elementare”.

Che poi una cosa è la possibilità (se la situazione epidemiologica lo consente e purtroppo i dati sono in forte aumento anche nella scuola del primo ciclo) di recarsi a scuola per gli scolari della primaria (e magari per i più piccoli nelle scuole medie), altra cosa il sacrificio di fare lezione a distanza per gli alunni delle superiori che sono in grado di gestire (se hanno la strumentazione adatta: ma a maggio il Ministero non diceva che pc, tablet, ecc., erano già stati assegnati a tutti gli studenti che ne erano privi?!) una lezione on line anche meglio di tanti docenti. Ma al di là di come la si pensi, francamente accostare Lucia Azzolina a Fabrizio De Andrè (è lui il citato poeta della musica italiana visto che “In direzione ostinata e contraria” è la prima antologia ufficiale postuma del cantautore genovese uscita nel novembre del 2005) mi sembra… francamente troppo! Forse di De Andrè si potrebbe accostare alla Azzolina una frase di una sua vecchia canzone (dall’album “Storia di un impiegato”): “l’immagine di lei che si sporgeva da ogni foglio”, vista la consueta sovraesposizione mediatica della ministra.

Dati drammatici sulla situazione sanitaria. Confronti (datati) con la scuola

Ormai da diverse settimane i dati sulla situazione sanitaria sono molto preoccupanti. Aumenta ancora la curva dei contagi: sono stati oltre 36 mila i nuovi casi di Covid-19 nelle ultime 24 ore. E’ questo drammatico, dott, Miozzo, davvero molto più che il fatto “che le scuole siano ancora chiuse” come ha affermato lei.

Rifacendosi invece ai dati forniti dallo stesso Ministero dell’istruzione poco più di un mese fa (che fanno riferimento al periodo dal 14 settembre, giorno dell’ufficiale apertura delle scuole, al 10 ottobre) e che secondo la ministra Azzolina (ma non solo), viste le percentuali molto basse, rappresentavano la prova che la scuola è da ritenersi “un luogo sicuro”, emerge che i numeri percentuali erano effettivamente bassi (per fortuna, ma era il periodo che precedeva l’aumento esponenziale dei contagi) ma che il dato medio nazionale era comunque percentualmente più basso (il calcolo percentuale ovviamente si basava da una parte sul numero totale degli studenti e dall’altra sull’intera popolazione nazionale) di tutte le positività registrate nello stesso periodo a scuola: gli studenti positivi erano infatti ben il 73% in più rispetto al corrispettivo dato generale che riguardava l’intera popolazione, e i docenti e il personale  amministrativo erano percentualmente oltre il doppio rispetto al dato dei contagi accertati nel Paese (sempre chiaramente calcolati in base ai rispettivi numeri complessivi di popolazione).

Abbiamo letto questo interessante riferimento su “laRepubblica” on line in un articolo a firma di Corrado Zunino pubblicato circa un mese fa (dopo è ancora più complicato fare paragoni fra contagi di personale e studenti che frequentano le scuole e generalità della popolazione, in quanto, a fronte dell’aumento complessivo purtroppo assai elevato dei contagi, in molto istituti – soprattutto alle scuole superiori, ma non solo – è stata avviata la didattica a distanza e quindi è ovvio che il rapporto risulterebbe assai alterato da questo fattore).

Secondo dati più recenti, risalenti a circa una dozzina di giorni fa (quando già in diverse regioni si era avviata la didattica a distanza, almeno alle scuole di istruzione secondaria di II grado), il sindacato Unsic ha provato ad aggiornare il numero dei contagiati che hanno frequentato le aule scolastiche. La stima non è certo marginale: almeno 105 mila casi complessivi, di cui circa l’80% riguarda studenti.

“Purtroppo sono scarsi e non sempre attendibili, perché difficili da rilevare, i dati sul contagio a scuola”, spiegano dall’ufficio comunicazione dell’Unsic, che sin da settembre monitora questo delicato settore.

Secondo l’Unsic a “sfuggire” ai rilevamenti sono soprattutto i giovani asintomatici, per cui i numeri sono sottostimati. Il contributo delle scuole alla diffusione del virus, soprattutto in modo indiretto attraverso i trasporti e gli assembramenti in strada, secondo l’Unsic emergerebbe anche da diversi indicatori. Per esempio “si è registrata l’incidenza crescente dei ragazzi tra le persone sottoposte a tampone e l’età media dei contagiati più bassa proprio per l’inclusione di alcuni ragazzi”.

Una cosa è certa: si stanno diffondendo purtroppo sempre più casi anche nelle scuole del primo ciclo e persino dell’infanzia.

Andrea Toscano

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