La nota ministeriale 1042 dell’8 febbraio in materia di contrattazione integrativa di istituto emanata per far chiarezza su una questione resa particolarmente complessa dall’intreccio di norme di legge e norme contrattuali, rischia di creare ulteriore confusione ed incertezza.
La nota, fortemente voluta dai sindacati di comparto, contiene non pochi elementi di contraddittorietà; nell’oggetto si parla di “certificazione di compatibilità finanziaria della contrattazione integrativa di istituto” ma poi, senza nulla dire in fatto di certificazione, la nota chiarisce (per essere precisi suggerisce una ipotesi sostenuta da un generico “si ritiene”) che nei contratti di istituto devono essere applicate le norme contrattuali di cui all’art. 6 del CCNL Comparto Scuola in vigore (“nella parte in cui vengono individuate le materie oggetto di contrattazione sindacale a livello di istituzione scolastica”).
Ma, subito dopo, la nota aggiunge anche che “restano comunque ferme le contrattazioni in ogni modo concluse”.
La situazione insomma non è per nulla chiara: il “decreto Brunetta” stabilisce che a partire dal 1° gennaio 2011 i contratti integrativi non possono contenere clausole difformi dalle nuove regole del decreto stesso; nella nota ministeriale dell’8 febbraio si afferma il contrario e per di più si dice che comunque le contrattazioni già concluse sono da considerarsi in ogni caso legittime.
Quindi: i contratti in cui sono state rispettate le regole del “decreto Brunetta” sono a posto, ma anche i contratti che non si sono adeguati alle nuove regole vanno altrettanto bene.
Il problema, però, sta a monte, perché in materia contrattuale né il Ministero né le sue articolazioni regionali o provinciali sembrano essere titolati a fornire chiarimenti o suggerimenti in materia (diverso sarebbe il caso di una vera e propria direttiva ministeriale).
Ad ogni modo i sindacati del comparto hanno subito accolto con favore la nota ministeriale, a firma del dirigente Luciano Chiappetta.
Ma la contraddizione viene fatta notare dall’Anp che sottolinea che “ciascun dirigente risponde personalmente delle proprie valutazioni e non di quanto abbia eventualmente fatto in adesione ai pareri del dirigente di un altro ufficio, che non aveva competenza ad esprimerli”.
Senza considerare, aggunge l’Anp, che “il responsabile delle relazioni sindacali a livello di istituto è il dirigente della singola scuola, come previsto dall’art. 25 del DLgs. 165/01”.
Grande soddisfazione viene invece espressa da Flc-Cgil, Cisl-Scuola e Uil-Scuola che sembrano sottovalutare il rischio che un simile “modus operandi” della Amministrazione scolastica produca di fatto una sorta di “commissariamento” delle istituzioni autonome e, in definitiva, dei dirigenti scolastici e delle stesse RSU la cui reale capacità negoziale viene in sostanza messa in discussione o quanto meno sottovalutata.