Ormai non ci sono dubbi: i soldi per garantire 85 euro (lordi) a tutti i dipendenti statali non ci sono e ciò che la nostra testata sta scrivendo da tempo si sta puntualmente verificando.
Insomma, la nostra testata non ha mai “gufato”, ma si è limitata a fare i conti e a spiegare ai lettori che gli stanziamenti previsti non possono in alcun modo risolvere i problemi sul tappeto.
Problemi che sono davvero tanti, a partire dal fatto, da noi evidenziato fin da subito, che aumentando gli stipendi più bassi si farà perdere a molti dipendenti il “bonus” fiscale di 80 euro.
E’ vero che il Governo ha previsto nella legge di bilancio uno stanziamento di 210 milioni di euro per portare a 27mila euro il tetto sotto il quale scatta il diritto al “bonus”, ma in questo modo si salverebbero 250mila statali e ne resterebbe fuori 100mila per i quali l’aumento di 85 euro comporterebbe la
perdita di 80 euro.
Ma il nodo più complicato (e anche questo lo avevamo già segnalato da tempo) è un altro: l’accordo del 30 novembre 2016 sottoscritto da Governo e sindacati prevedeva il meccanismo della “piramide rovesciata”, cioè aumenti più elevati per gli stipendi più bassi e più contenuti per quelli più alti.
Nella scuola vorrebbe dire, per esempio, 100 euro per i collaboratori e 65-70 euro per i DSGA e per i docenti delle superiori con 30 anni di servizio.
Ma pare che questa soluzione non piaccia ai sindacati che, pur avendo firmato l’accordo del 30 novembre, adesso rivendicano aumenti uguali per tutti.
D’altra parte le risorse messe a disposizione dal Governo corrispondono esattamente al 3,48% della attuale “massa salariale” (vecchio termine “sindacal-politichese” per indicare la somma complessiva destinata al pagamento degli stipendi).
E se a tutti venisse riconosciuto un aumento del 3,48%, la forbice fra gli stipendi più bassi e quelli più alti si allargherebbe ulteriormente.
Servirebbero altri 300 milioni di euro
Nelle ultime ore si è diffusa la voce che, per risolvere tutti questi nodi, il Governo stia cercando 300 milioni di euro fra le “pieghe del bilancio”, ma la ricerca non è affatto agevole.
Il contratto, insomma, si sta rivelando un vero e proprio rebus di difficilissima soluzione.
I sindacati del comparto, peraltro, sentono ogni giorno di più il fiato sul collo dei sindacati di base e di una parte consistente dei propri stessi iscritti. L’appello del gruppo FB Professione Insegnante che invita docenti e Ata a stracciare la tessera sindacale in caso di firma di un contratto al ribasso sta ormai veleggiando verso le 100mila firme.
Senza dimenticare che a marzo, o al massimo ad aprile, si voterà per il rinnovo delle RSU e i sindacati rappresentativi potrebbero pagare dazio.
Lo scenario è davvero complicato: non si tratta di “gufare” ma le possibilità che il contratto si chiuda rapidamente e in modo vantaggioso per il mondo della scuola sono, a nostro parere, molto molto ridotte.
Ascolta subito la nuova puntata della rubrica “La meraviglia delle scoperte” tenuta da Dario De Santis dal titolo: “I Simpson, nel…
"Servirebbero più risorse per la scuola pubblica e per l'istruzione per garantire il diritto al…
I compiti a casa sono il momento del consolidamento e della rielaborazione delle conoscenze, e dell'esercitazione…
È partito il 21 scorso alle 15,10 da Torino Porta Nuova il "Sicilia Express", il…
Una aspirante partecipante al concorso ordinario PNRR 2024 della scuola primaria e infanzia, ci chiede…
Il 19 dicembre 2024 segna un passo decisivo per l’organizzazione del concorso docenti. Con una…