Dopo oltre 6 anni di blocco, il contratto del pubblico impiego è ad un crocevia: il 13 luglio è stato infatti sottoscritto l’accordo sui nuovi comparti.
Presso l’Aran, l’Agenzia che rappresenta il Governo, i sindacati hanno detto sì all’accordo che riduce quasi di un terzo i settori della contrattazione, visto che sinora ve ne erano ben 11.
La firma, che una precondizione per l’apertura del confronto sui rinnovi contrattuali del pubblico impiego, che in Italia riguarda 12 milioni di lavoratori, arriva dopo sette anni dalla legge di riforma della PA, che ha prescritto la razionalizzazione. E dopo l’intesa preliminare, che era stata raggiunta il 5 aprile scorso, ottenendo poi il via libera del Consiglio dei ministri il 15 giugno.
“Rispetto all’ipotesi di accordo di inizio aprile – scrive l’Ansa -, il testo finale non rileva modifiche significative, tutte di tipo tecnico tranne una, poi a sua volta riformulata. Il tavolo per la sottoscrizione infatti si è prolungato, con i sindacati contrari alla modifica, che secondo alcune sigle poneva un vicolo stingente tra la nuova geografia e le future risorse disponibili. Nell’ultima versione il nesso sarebbe stato delineato in termini meno rigidi, in accordo con i sindacati”.
Questi sono i nuovi comparti: Funzioni centrali (circa 247.000 occupati), Funzioni locali (457.000), Istruzione e ricerca (1.111.000) e Sanità (531.000).
“Dal confronto con l’assetto finora in vigore, emerge come gli accorpamenti abbiano riguardato gli statali in senso stretto (prima divisi tra ministeriali, dipendenti delle agenzie fiscali e degli enti pubblici non economici) e il settore della conoscenza, con insegnanti, ricercatori, personale dell’università raccolti in una stessa ‘zona’ di contrattazione. I dipendenti di palazzo Chigi fanno invece comparto a se stante”.
Inoltre, cambiano faccia pure le aree dirigenziali: saranno raggruppati circa 6.800 dirigenti nell’area delle Funzioni centrali, 15.300 nelle Funzioni locali; 7.700 nell’Istruzione e ricerca e 126.800 nella Sanità.
“Per consentire alle sigle sindacali di non perdere la rappresentanza – continua a spiegare l’agenzia nazionale – è concesso un mese di tempo, da oggi, per stringere eventuali alleanze. Infatti i criteri per essere rappresentativi restano quelli di prima (5% di deleghe più voti in 2 comparti). È comunque riconosciuto una sorta di ‘diritto di tribuna’, nei tavoli sui rinnovi, per i sindacati che restano sotto la soglia. Inoltre per tutelare delle specificità professionali é previsto che il contratto possa contenere delle sezioni, in modo da trattare in modo diverso aspetti particolari”.
Va ricordato che nella scuola il limite del 5% di rappresentatività è già in essere. E che l’unione con Afam, Università e Ricerca – numericamente poco significativi – non dovrebbe cambiare gli attuali equilibri. A meno che non si vadano a costituire delle “alleanze” inaspettate.
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