Continua ad essere incerta e sofferta l’approvazione del contratto nazionale 2019/21 relativo ad Istruzione, Università e Ricerca con oltre 1.200.000 dipendenti coinvolti di cui più del 90% docenti e Ata. Mercoledì 12 luglio il confronto con tra l’Aran e le sei delegazioni sindacali rappresentative (Flc-Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola Rua, Snals Confsal, Gilda e Anief) ha riguardato dapprima il comparto dell’Università, poi nel pomeriggio si è parlato di Ricerca e Afam, con quest’ultimo settore che ha necessitato più tempo del dovuto. Il “canovaccio” seguito è stato il lungo e articolato testo redatto dalla parte pubblica (la cui versione aggiornata è stata consegnata ai sindacati qualche giorno fa) nel quale sono presenti diverse parti del contratto scuola precedente e alcune novità importanti.
L’attenzione si sposta tutta sulla Scuola, che si tratterà nella giornata del 13 luglio, e che sarà decisiva ai fini della possibile firma e approvazione finale. Le questioni da trattare sono svariate (c’è chi sostiene che un solo giorno di confronto non possa bastare), con entrambi le parti che “spingeranno” per fare approvare le proprie proposte: l’Aran, in particolare, continuerà ad insistere sulla revisione del codice disciplinare dei docenti, sulla cui gestione, almeno secondo l’amministrazione, dovrebbe avere maggiore peso decisionale il dirigente scolastico.
I sindacati, contrari alla novità del preside con maggiore potere, invece insisteranno sulla concessione dei giorni di permesso da concedere (senza decurtazione in busta paga) anche al personale non di ruolo.
Tra le novità caldeggiate dai sindacati spicca anche l’esigenza di aprire a nuovi ordinamenti del personale Ata, per i quali sembrano profilarsi profili professionali più adeguati alla scuola d’oggi: a questo proposito, il “tavolo” di contrattazione ha a disposizione tra i 35 e i 40 milioni di euro.
In tutto, si dovrà decidere sull’assegnazione al personale scolastico di più di 400 milioni di euro: i primi 85 milioni sono in realtà dei residui dei vecchi contratti, circa 220 milioni serviranno per la valorizzazione degli insegnanti; infine, c’è una quota forfettaria di 100 milioni, sui cui c’è già il via libera delle organizzazioni sindacali.
Una volta assegnati questi soldi, il personale avrà completato la parte economica del contratto di lavoro 2019/21, dopo il sì concordato alla fine del 2022 che portò ad oltre il 4% di aumento, pari in media a circa 100 euro lordi a dipendente per 13 stipendi l’anno; l’integrazione che dovrebbe arrivare con l’accordo di metà luglio 2023, porterà (probabilmente dopo l’estate) altri 20 euro medi (lordi) a lavoratore della scuola.
Una somma non certo adeguata, ma tanto ha saputo produrre il Parlamento e probabilmente in questa fase per i sindacati non sembra esserci altra via che fare di necessità virtù.
Il problema è che alcuni dei sei sindacati rappresentativi, anche tra i Confederali, potrebbero non accettare le condizioni poste dall’Aran: ma poiché non sottoscrivere un contratto collettivo nazionale comporta l’automatica esclusione dalle nuove trattative, per il Ccnl successivo (il 2022/24), non è da escludere che le organizzazioni scettiche sull’incremento concesso e sulle novità introdotte possano decidere di sottoscrivere comunque il contratto, ma apponendo una “sigla” in fondo al contratto stesso: una sorta di nota finale, nella quale apporre tutte le proprie perplessità e obiezioni rispetto a quanto approvato.
Considerando la complessità delle variabili in campo, è possibile che per arrivare all’accordo sia necessaria qualche ora in più (in questo caso potrebbe bastare venerdì 14) o giorno ulteriore (in tal caso slitterebbe tutto alla prossima settimana).
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