E finalmente arrivò il contratto. Il mondo della Scuola sospira di sollievo. Innanzitutto, finalmente, potremo chiamare il FIS con un altro nome. Era una vera priorità, diciamocelo papale papale. Non se ne poteva più di questo bizzarro acronimo del Fondo d’Istituto: i colleghi si chiedevano se si riferisse alla Fondazione Italiana Sommellier o ai terroristi algerini del Fronte Islamico di Salvezza. Urgeva un po’ di chiarezza. Finalmente, grazie al nuovo contratto, il FIS si chiamerà FMOF: “Fondo per il miglioramento dell’offerta Formativa”. Aria nuova, idee nuove! Era ora!
In realtà il FMOF comprenderà varie voci (tra cui il vecchio FIS). Come si deduce dal lambiccatissimo art. 39-bis dell’ipotesi di contratto (sottoscritta il 9 febbraio 2018), esso abbraccerà anche i fondi del bonus premiale (€ 200 milioni annui secondo la Legge 107/2015 “Buona Scuola”, comma 126), ma sarà decurtato di 80 milioni nel 2018 (70 dei quali presi dai soldi del bonus), di 100 milioni dal 2019 (50 dei quali dal bonus, che poi, “a regime” sarà tagliato “solo” di 40 milioni). Tradotto in italiano significa che i soldi per i progetti sono sempre di meno, e che nel 2018 per il bonus premiale ogni DS non avrà più disposizione circa € 20.000 in media, ma 13.000; nel 2019 ne avrà 15.000; “a regime” 16.000. Dalle altre voci del FMOF saranno decurtati 10 milioni nel 2018 e 50 nel 2019, per aumentare (di € 10 circa a persona mensili!) la “retribuzione professionale docenti”. Con i denari rimasti nel FMOF si dovranno dunque pagare: progetti, corsi di recupero, “ore eccedenti del personale insegnante di educazione fisica nell’avviamento alla pratica sportiva”, “funzioni strumentali”, “incarichi specifici del personale ATA”, “progetti relativi alle aree a rischio”, “ore eccedenti per la sostituzione dei colleghi assenti”, nonché le ore di alternanza scuola lavoro! Non poco, se si pensa che i soldi in più per tutte queste voci di spesa sono i 200 milioni del bonus (decurtato però delle somme dette sopra), più altri 10 milioni per il 2018, 20 milioni per il 2019 e 30 milioni annui dal 2020 (“risorse di cui all’art. 1, comma 592 della legge n. 205/2017”).
Da tutto questo caos primigenio di cifre si può desumere quanto segue: è stato stabilito in alto loco che i soldi per la Scuola sono e devono rimanere pochi. Per dare l’impressione che tutto cambi senza cambiare niente, si prendono i soldi da una tasca dei lavoratori per metterla nell’altra tasca, lasciando loro (e l’istruzione pubblica) nella medesima miseria di prima, destinata ad aggravarsi con l’inevitabile crescere dell’inflazione.
I Sindacati firmatari vantano come un grande successo la raggiunta “contrattazione del bonus premiale”, ma dimenticano di dire che verranno contrattati in ogni Istituto solo i criteri di assegnazione del medesimo: non saranno certo i sindacati stessi a stabilire a chi andranno i soldi!
I “regalini” del contratto non finiscono qui. Una vera chicca è l’art. 26, che schiaffa tutti i docenti nell’“organico dell’autonomia”: andando dunque ben oltre il comma 63 della legge 107/2015 (il quale stabiliva una differenza tra “posti comuni, per il sostegno e per il potenziamento dell’offerta formativa”). Ciò permetterà ai DS (come specificato nell’art. 28 dell’ipotesi di contratto) di destinare (del tutto o in parte) l’orario di qualsiasi docente alle attività di potenziamento. Ciliegina sulla torta: le ore in più di “cattedra” sul potenziamento saranno pagate come attività di non insegnamento (€ 17,50 l’ora).
Non basta: l’art. 29 stabilisce che le parti si riuniranno entro luglio 2018 per definire la “tipologia delle infrazioni disciplinari e delle relative sanzioni” al fine della “repressione” (sic) “di condotte antidoverose dell’insegnante”. Ossia per rafforzare contrattualmente il codice disciplinare Brunetta.
Peraltro, dopo 12 anni di blocco contrattuale, 19.000 euro perduti a testa e il passaggio da contratti biennali a triennali, ci ritroviamo “aumenti” tabellari di € 30 medi netti (persino inferiori al resto del pubblico impiego) sottratti al FIS. Alla faccia degli 85 promessi alla vigilia del referendum costituzionale del dicembre 2016 (perché gli statali votassero Sì)!
E non è tutto: l’art. 35 elimina di fatto l’indennità di vacanza contrattuale, incorporando la cifra residua nel tabellare: così i futuri governi potranno risparmiare le more del rinnovo dei contratti, fosse pure per vent’anni! E ancora: i pochi euro “perequativi” per i redditi più bassi saranno erogati solo da marzo a dicembre 2018 (305 giorni)!
Non c’è che dire: questo contratto è davvero un bel regalo. Lo dobbiamo ai valorosi Sindacati “maggiormente” rappresentativi, che dopo un estenuante dodicennio di coraggiose lotte ci hanno liberati dal bisogno e dall’ingiustizia.
Bisogna solo comprendere se un tal dono sia il frutto di una meditata filosofia della miseria o un’immagine plastica della miseria della filosofia politico-sindacale “maggiormente rappresentativa”.
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