In un passo evangelico si racconta di un uomo che aveva una mano inaridita.
Gesù ridona vita e mobilità a quell’arto paralizzato, suscitando la riprovazione dei presenti nella sinagoga perchè aveva osato operare tale guarigione di sabato.
Chi compirà il miracolo per sbloccare la mano inerte del Governo nelle trattative per il rinnovo del contratto comparto Istruzione e Ricerca fermo dal 2009? Un irrigidimento che avviene quando si tocca la questione soldi.
A costo della data 4 marzo, dopo la campagna elettorale più abolizionista della storia repubblicana dove tutti promettono di togliere (più trendy e di facile presa), nessuno di dare.
Il punctus dolens è nella parte economica.
Ma non mancano altri contorni affatto incorraggianti, quale la proposta dell’Aran di inasprire le sanzioni disciplinari (non ci era arrivato neanche Brunetta) per i docenti che si macchino di condotte non consone, comprese inopportune battute con gli alunni su FB o WA. E ancora, la possibilità di prestazione di lavoro gratuito per la funzione di tutor nell’Alternanza Scuola Lavoro, sperimentazione avviata già con successo per i Neet e i Millennials Viene spontaneo. dinanzi a queste chicche, chiedersi: “E la frusta no?”
Ritorniamo al vil denaro, visto che auspicheremmo la parsimonia come una virtù, non come una cogente necessità. Dopo quasi dieci anni ormai dall’ultimo aumento in busta paga, i docenti della scuola pubblica italiana e il personale Ata (con ruoli profondamente diversi ma legati dallo stesso destino) sono costretti ad assistere ad una sorta di partita amichevole, in cui si finge che i “contendenti” in campo – l’Aran da una parte, in rappresentanza della PA, e i sindacati dall’altra – si battano per la vittoria. Ma il risultato finale è già scritto, a favore del Miur.
Lo sanno bene le rappresentanze sindacali, come lo abbiamo ben chiaro noi lavoratori della Scuola. Le modalità di distribuzione di 2,9 miliardi per il rinnovo dei contratti pubblici, sono state già stabilite dal Governo, destinando ad ogni comparto la stessa percentuale.
Qualcuno potrebbe definire il carnet di incontri, per ora ce ne sono stati due ma si attende il terzo per lunedì prossimo, una pochade.
Tutto l’ambaradan tra schermaglie varie – si è discusso per ora solo di questioni di metodo e normative – sta avvenendo con la piena consapevolezza che non ci sono le risorse necessarie per garantire un aumento stipendiale dignitoso al personale interessato.
Preme sottolineare che la cifra media di cui si parla si aggira intorno a 85
euri lordi. Quindi, al netto, non più di 45 euri. Ci sono peraltro inghippi per le retribuzioni più basse che con il favoloso aumento rischierebbero di perdere gli 80 euro di Renzi. Banalmente la coperta troppo corta. Per rendere più pesante l’aumento c’è stata la proposta di far confluire nella “scorpacciata” anche la card di 500 euro ai docenti e il bonus merito. Impossibile per il fatto che sia l’una che l’altra fanno parte della legge 107.
Per fare transitare tali emolumenti nel contratto, occorrerebbe modificare la legge il che, allo stato attuale con un parlamento da eleggere, è impossibile. I sindacati, ad onor del vero, si stanno impegnando per fare passare nella contrattazione con le Rsu e il dirigente, il gruzzoletto che si elargisce ai cosiddetti prof migliori. Ma non si sa ancora in che termini.
Basterà ad evitare che l’osso sia buttato solo alla guardia scelta dei presidi? Nell’ipotesi, richiamare l’attenzione ad eleggere nelle Rsu personaggi che non facciano parte della corte dei DS, altrimenti, verrebbe vanificato lo sforzo di dare al bonus garanzie di trasparenza ed equità.
Tirando le somme, il piatto piange. Infatti, se spalmassimo gli aumenti previsti, nell’arco di nove anni, dal 2009 al 2018, constateremmo che ai professori della Scuola Pubblica dovrebbero spettare circa 55 euro per ogni anno, ossia meno di cinque euro al mese. Questa è la considerazione nei confronti di chi ha la responsabilità di formare, educare, istruire le giovani generazioni del paese, di assicurare la trasmissione sapere, di contribuire alla cultura che, fino a prova contraria, ha nella Scuola Pubblica il suo centro fondamentale di germinazione.
E, ci si creda, ci siamo stancati di classifiche in fatto di investimenti nell’istruzione e di paragoni con altri paesi assai più avanti del nostro.
E’ inutile. Non serve. Di fronte all’ottusità dei barbari, se non lo sconforto di Zbigniew Herbert a Marco Aurelio, un senso di impotenza che, tuttavia, non piega la nostra fierezza intellettuale. I PSP intendono altresì ribadire che, alla luce di quello che si profila, non solo il cosiddetto aumento sarà risibile, ma anche fare chiarezza riguardo alle false notizie diffuse dai media.
I Partigiani della Scuola Pubblica
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