Il 19 aprile 2018 veniva siglato dai sindacati il contratto scuola dopo 9 anni di latitanza con un aumento stipendiale da 80 a110 euro lordi; somma irrilevante e umiliante, ma l’intento era di dare immediatamente un po’ di ossigeno agli stipendi riservandosi in un secondo tempo di perfezionare la parte normativa e chiedere aumenti economici più consistenti.
Decisione infelice e non condivisibile poiché, dopo una lunghissima attesa e fiduciosa aspettativa che garantivano forza in sede di negoziazione, si è voluta adottare invece una strategia suicida con l’intento di dispensare un temporaneo premio di consolazione per rabbonire il malcontento del personale scolastico. Così commentava soddisfatta la ministra Valeria Fedeli: “Siamo andati oltre, riuscendo a garantire aumenti superiori a quelli previsti, con l’obiettivo di dare il giusto e necessario riconoscimento professionale ed economico alle nostre lavoratrici e ai nostri lavoratori”.
Sono passati quattro anni da allora ed è in corso una trattativa su un’offerta del Governo di circa 50 euro netti, come nel 2018, giustificandola con le ormai consuete ma irricevibili e ambigue motivazioni.
Il 7 di settembre p.v. i sindacati avranno un altro incontro con l’ARAN che quasi certamente si concluderà con un niente di fatto. La domanda che sorge spontanea è: cosa stanno aspettando le parti sociali a mobilitare il personale scolastico, tramite le RSU, per attuare l’unica forma di lotta che potrebbe pungolare l’interesse della controparte, ovvero il blocco delle attività aggiuntive? Oppure stanno aspettando di fare la stessa fine dello sciopero del 30 maggio, indetto quasi alla fine delle lezioni, la cui molteplicità delle rivendicazioni ha avuto una ricaduta solo sulla trattenuta stipendiale dei lavoratori partecipanti? Il tarlo che ricorre nella mente è: possibile che l’appariscente impegno sia solo un alibi per gettare fumo negli occhi del personale scolastico per poi siglare il contratto e trovare la pace interiore? In caso di mobilitazione, i docenti saranno in grado, almeno una volta, di essere uniti per tutelare i loro diritti? Staremo a vedere.
Il primo di aprile 2021, ai microfoni di Rai Radio1, il ministro Bianchi dichiarava: “Ai docenti (e a tutti i lavoratori della Scuola, essenziali alla Scuola stessa) riconosceremo un aumento di stipendio di almeno 600 euro mensili netti. Ben al di sotto, lo so, di quei 1.200 che separano i docenti italiani dalla media dei colleghi europei, ma è solo l’inizio”.
Michele Frezza