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Contratto scuola, Usb attacca: “Cgil, Cisl, Uil firmano accordo vergognoso per salari da fame. Sciopero il 23 febbraio”

Dura nota dell’Unione Sindacale di base. Il segretario Luigi Del Prete commenta così il rinnovo del contratto scuola:

“Sullo schema già sperimentato con le funzioni centrali, ieri abbiamo assistito alla ormai consueta accelerazione della trattativa ferma da settimane e mai veramente decollata, che ha portato nell’arco di 18 ore alla firma dell’ennesimo contratto a perdere per i lavoratori pubblici. Con le nostre continue denunce abbiamo costretto i confederali a non accettare le parti più irricevibili del nuovo contratto (tutoraggio e formazione nella funzione docente, aumento dei carichi a parità di salario), portandoli sulle nostre posizioni e condizionando la trattativa; questo li ha spinti a dare vita ad una trattativa vergognosa svolta su due tavoli: uno con le confederazioni complici di CGIL CISL e UIL e le loro organizzazioni della Scuola e l’altro ritenuto dall’ARAN marginale, con tutte le altre organizzazioni sindacali comprese quelle di CGIL CISL e UIL di Ricerca e Università.
Cgil, Cisl e Uil, con questa indegna contrattazione separata, irrispettosa delle altre O.S. e dei lavoratori, hanno firmato l’ennesimo contratto “bidone” per tutta la categoria, con aumenti stipendiali ridicoli pari a un caffè al giorno e una parte normativa che lascia inalterati i peggiori aspetti della legge 107 e della legge Brunetta. Ancora più inaccettabile questa modalità da parte di un sindacato, la Flc Cgil, che ci propina costantemente solfe sulla democrazia sindacale e la partecipazione, mentre alla prova dei fatti nelle scuole e nei tavoli contrattuali assume atteggiamenti arroganti e antidemocratici.
Rinviata a data successiva la trattazione delle sanzioni disciplinari, ma questo significa semplicemente che resta in vigore la legge 165 del 2001, che tanti contenziosi ha creato nelle scuole, consentendo ai Dirigenti di comminare sanzioni con trattenuta dello stipendio a troppi lavoratori della scuola.
Alternanza scuola lavoro e formazione sono totalmente lasciate ai vari commi della legge 107 e pertanto, laddove nella bozza iniziale del contratto il tentativo di normare questi aspetti andava a ledere il capitolo relativo alla funzione docente, adesso la totale deregulation alla quale si torna senza alcun miglioramento contrattuale darà libera interpretazione e ampia discrezionalità ai Dirigenti Scolastici.
Inquietante l’Art. 26, realizzazione del PTOF mediante l’organico dell’autonomia, in cui si afferma che: “i docenti in servizio in ciascuna istituzione scolastica appartengono al relativo organico dell’autonomia di cui all’articolo 1, comma 63, della legge 13 luglio 2015, n.107 e concorrono alla realizzazione del piano triennale dell’offerta formativa tramite attività individuali e collegiali: di insegnamento; di potenziamento; di sostegno; di progettazione; di ricerca; di coordinamento didattico e organizzativo”. Da domani tutti i docenti potranno essere utilizzati in piena libertà dal Dirigente Scolastico, senza alcun rispetto delle professionalità acquisite e nel totale arbitrio gestionale.
A poco serve il “nuovo fondo per il miglioramento dell’offerta formativa” costituito da varie voci tra cui FIS e Bonus premiale, il cui taglio progressivo annuale dovrebbe servire solo a mettere pochi spicci sulla retribuzione professionale docente ma privando le scuole di risorse già all’osso e comunque destinando ancora una buona parte per la premialità. Con la connivenza delle RSU si lascia ai Dirigenti Scolastici il ruolo di assoluta discrezionalità e autocrazia nella gestione della distribuzione di questi soldi che appartengono a tutti i lavoratori e continueranno a essere assegnati a pochi con la solita fasulla propaganda sul riconoscimento del merito.
Inaccettabile il passaggio sulla mobilità. Il contratto diventa triennale, si potrà presentare domanda ogni anno, ma sarà impedito ai docenti che hanno ottenuto titolarità su scuola, dopo le operazioni di mobilità, di presentare domanda per i successivi tre anni.
L’assegnazione dei docenti alle classi è oggetto di mera informazione, l’assegnazione ai plessi e alle sezioni staccate si limita ad un semplice confronto tra Dirigente ed RSU, così come i cinque giorni di formazione il cui utilizzo può essere deciso unilateralmente dal DS anche se le RSU non concordano.
Gli aumenti stipendiali vengono “pompati” con una perequazione che fa partire gli aumenti solo dal primo Marzo e non da Gennaio, senza alcuna garanzia che gli stessi siano riconfermati dal 2019, in quanto necessitano di un ulteriore ed eventuale intervento economico del futuro governo.
Resta una sezione “obblighi dei dipendenti” totalmente legata ai doveri di diligenza e collaborazione, aprendo scenari pericolosissimi in relazione all’uso dei social con genitori ed alunni, con la possibilità di pesanti sanzioni future per quanti non utilizzino con “finalità educative” tali strumenti.
Che dire? Un cattivo contratto, inutile nella sua incapacità di contrastare gli effetti nefasti degli ultimi interventi normativi che hanno modificato la scuola pubblica statale e totalmente prono alla logica gerarchica del preside padrone e dei “gruppetti” di potere che ormai incarnano nelle scuole la svolta aziendalistica. Un contratto dal quale alcuni aspetti nefasti sono stati espunti grazie alla denuncia che come USB abbiamo fatto in totale solitudine e informando costantemente i lavoratori. A quel che è stato eliminato dalla bozza non è subentrato alcun aspetto positivo o di miglioramento delle condizioni dei lavoratori docenti e ATA, nessuno dei problemi relativi ai numerosi contenziosi che negli ultimi anni abbiamo portato avanti con i lavoratori viene sanato con questo nuovo contratto. Nella storia della contrattazione collettiva i lavoratori ad ogni rinnovo hanno ottenuto un aumento di diritti e salario. Questa volta i lavoratori fanno i conti con una firma indegna apposta da quei sindacati abituati a venderli dentro e fuori dall’Aran. I diritti sempre in bilico fanno il paio con un salario da fame che sarà eroso in pochi mesi dall’inflazione, dalle prossime finanziarie lacrime e sangue, da quanto il nuovo governo riuscirà a stanziare per il sistema perequativo perché, in assenza di nuovi stanziamenti, quel piccolo aumento che vedremo dal mese di aprile potrebbe tornare a decrescere a partire dal gennaio 2019. La truffa è servita, la teatrale presenza sullo sfondo dei sindacati rappresentativi inutili comparse è stata utile solo alla svendita dei lavoratori pubblici.
Un’altra rappresentanza sindacale è possibile: siamo certi che i lavoratori della scuola daranno una sonora risposta alle prossime elezioni politiche, ma anche alle prossime elezioni RSU.
Lo sciopero del 23 febbraio rimane e lo confermiamo a gran voce nella consapevolezza che è necessaria più di prima una presenza forte e numerosa dei lavoratori in piazza”.

Redazione

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