I lettori ci scrivono

Contro i ricorsi, fare ricorso alla pedagogia degli ultimi

Negli ultimi anni le problematiche relative ai criteri di valutazione adottati dai docenti non hanno trovato nelle famiglie aspetti soddisfacenti e sono diventati oggetto di frequenti controversie e ricorsi.

L’estrema complessità e vastità della tematica e le sempre più  pressanti richieste di chiarificazione formale ed ufficiale del voto, contribuiscono a fare in modo che  l’insegnante e l’insegnamento siano alla continua ricerca di una prassi operativa e valutativa che si ponga nell’ottica di costruire una mediazione tra la necessità di applicare i contributi teorici, rispettare le indicazioni ufficiali ed  evitare scontri, dubbi ed apprensioni nelle famiglie.

Ciononostante, anche in considerazione del fatto che gli alunni non vivono fuori dalle tensioni familiari, ma ne discutono in casa ed esprimono giudizi, la mancata accettazione del voto è da considerarsi una delle più nocive omissioni per  educare cittadini oggettivamente  più consapevoli e preparati.

La famiglia, nel rispetto dell’autonomia dei docenti in uno spirito di pluralismo e collegialità, ha il compito di sostenere lo sviluppo di strumenti d’ interpretazione e di giudizio, evitando ogni possibile forma di condizionamento, strumentalizzazione e contrapposizione.

Sicuramente, non si possono fornire soluzioni esaustive, ma occorre sollecitare un’analisi del problema per garantire  ai ragazzi una guida sicura in una società sempre più litigiosa, critica, problematica e disorientata.

La difficoltà di ottenere una valutazione condivisa deriva, in parte, anche da una mancata riflessione sui problemi reali della scuola e  da un  vivace atteggiamento polemico nei confronti della forza costruttiva di una educazione che tende a favorire il dialogo fra le persone e la valutazione oggettiva delle potenzialità, dei fatti e dei problemi.

Non è chiaro in che modo e  in quale misura, a livello educativo, ci si debba occupare, in prevalenza, di alcuni aspetti che tendono a legittimare subito  ingerenze che si focalizzano sul concetto di critica, anziché sulla libertà e sulla forza qualificante di chi è chiamato non solo a qualificare il momento più delicato del processo formativo, ma anche a far prendere coscienza di sé e della realtà in cui si vive.

La valutazione non è espressione di una univoca concezione pedagogica, ma  è un vero e proprio organo regolatore che, in autonomia, tende alla valorizzazione dell’io, si carica di rinnovate implicazioni psicologiche e invita a sostenere ragionevolmente il peso dei fatti.

Purtroppo, riguardo agli strumenti, alle procedure di verifica e alle modalità di rappresentazione del giudizio, si fa spesso una velleitaria e negativa opposizione che  obbliga a seguire  il fascinoso canto delle suggestioni, anziché il percorso  d’insegnamento-apprendimento e la sua concreta attività formativa.

In una società e in una famiglia che non riescono più ad uscire dall’orgoglio  dell’autoesaltazione, dalle acque basse e stagnanti  della polemica o del cavillo giuridico,  che  fanno fatica a riconoscere ai docenti la paternità formale della valutazione, la scuola non potrà garantire un’articolazione flessibile e moderna della sua proposta culturale e contribuire, quindi, al consolidamento e all’edificazione di una autentica società libera e democratica.

È indispensabile creare le condizioni necessarie per riappropriarsi di esperienze legate organicamente a tutto ciò che inserisce l’uomo in una dinamica valoriale contraddistinta da modalità relazionali non insidiate da un vuoto multiloquio che con mille banalità distrae e disperde.

Ciascuno di noi, in diverse circostanze, si sarà trovato ad esprimere attraverso parole mute, insoddisfazione per un obiettivo non raggiunto, rabbia  per un torto subito, disagio per un voto non meritato.

L’impedimento verso la scalata del successo e della gratificazione a tutti i costi, costituiscono, oggi, motivo ed occasione per fare l’esperienza della tristezza senza uscita, dello sdegno, dell’ira, della vendetta.

Il venir meno di forze  individuali che manifestano una continua discrepanza tra realtà esistente e possibilità auspicate, tra essere e voler essere, l’ottundersi di quell’umile sentire che guida e  illumina il cammino e  la mancanza di un progetto di vita che tenga  nel giusto conto l’importanza  della base che sospinge verso la vetta, a volte, proiettano  l’uomo nella disarmonia dell’agire senza senso.

In questa prospettiva, l’atteggiamento alternativo nei confronti di chi pensa di sentirsi in alto, di chi conosce solo la dimensione dell’io e fa fatica a comprendere la dimensione del noi nell’azione educativa, è senza dubbio, non il ricorso, ma il ricorso alla pedagogia degli ultimi, in virtù della quale si può proiettare nell’oscurità della proprie convinzioni, la luce autentica, benefica e vitale di un rapporto educativo, di una valutazione che deve, soprattutto, creare le impalcature necessarie che servono da supporto allo sviluppo di personalità autonome in grado di liberarsi dalle colpe della presunzione.

Il  dramma della bocciatura o la delusione di un voto inatteso vanno vissuti con serenità e visti come un cammino in cui ognuno impara ad accettare la dinamica del reale (ad ogni vittoria può seguire una sconfitta e ad ogni sconfitta può seguire una vittoria) ed  a  scoprire chi è e chi è chiamato ad essere.

È ora di riflettere sui semi delle insufficienze, dei voti non desiderati, delle lodi mancate, e riproporre una misura alta della vita che non cede alle lusinghe e al fascino della supremazia  che svuotano di senso la propria esistenza, ma rende capaci di costruire la storia partendo dalla pedagogia degli ultimi.

 

Fernando Mazzeo

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