La conversione in legge del Decreto sostegni bis, almeno per quanto riguarda i due articoli che toccano direttamente la scuola (58 e 59), ci ha fatto comprendere di che qualità siano i componenti del “governo dei migliori”. Somigliano da vicino a chi li ha preceduti – anzi, governo dopo governo – l’arroganza cresce proporzionalmente rispetto all’ignoranza.
Nel corso della pandemia abbiamo dovuto stupirci di fronte ai banchi con le rotelle, al pasticcio inverecondo delle GPS, alle continue affermazioni che ribadivano che nelle scuole il contagio non si diffonde; adesso lo stupore continua. Ma come si fa a prendere in giro una platea di lavoratrici e lavoratori informata dei fatti, non fosse altro perché quei fatti li toccano da vicino ed incideranno sulla loro vita quotidiana?
Ci riferiamo ai “ritocchi” apportati al vicolo quinquennale, che fissava i docenti immessi in ruolo nel settembre 2020 nella sede di prima nomina per cinque anni. La riduzione, “grazie” al Decreto sostegni bis a vincolo triennale, purché si fosse ottenuta in prima nomina la provincia richiesta, ha causato più danni che altro. Evidentemente i nostri saggi governanti non hanno studiato abbastanza geografia e non sanno che esistono province che richiedono ore per essere attraversate. Per esempio, da Taormina a Sant’Agata di Militello ci vogliono tre ore e un quarto con i mezzi pubblici e due ore e un quarto in auto. E non è certo l’unico caso.
Con vero sconforto assistiamo alle presunte novità apportate alle utilizzazioni ed assegnazioni provvisorie. Quella che la FLC-CGIL definisce “una soddisfacente apertura su punti di tutela importanti” a noi appare, invece, per quello che è: una bufala. A chi viene concessa la deroga rispetto al vincolo triennale? A quei docenti che, per legge, già potevano godere di tale deroga e cioè i genitori con figli minori di tre anni (legge 151/2001 art. 42 bis) e i coniugi conviventi di militari trasferiti d’autorità (legge 266/1999).
Restano fuori, ad esempio i docenti che fruiscono della Legge 104. E restano fuori tutti gli altri. Dunque, chi ha figli di quattro anni o il coniuge metalmeccanico, bancario, impiegato “trasferito d’autorità” non può godere di quegli stessi diritti? Ci si è ridotti ad impegnarsi in una battaglia che rivendica la possibilità di richiedere un miglioramento della propria collocazione lavorativa, senza, peraltro, alcuna garanzia di ottenere ciò che si richiede. L’ostinazione di chi governa non è certo giustificata dalla difficoltà di intervenire dal punto di vista normativo sulla materia né tanto meno dal risibile argomento della “continuità didattica” la quale non è tenuta in nessun conto se il docente diventa sovrannumerario.
Chiediamo che la questione del vincolo triennale venga immediatamente superata a favore di tutti i lavoratori che desiderano partecipare alle operazioni di mobilità. In questa chiusura di un altro anno scolastico tormentato dalla pandemia e dall’arbitrio di chi governa sosteniamo la protesta dei “vincolati” e dei precari, i cui problemi vengono, ancora una volta, affrontati con la logia del divide et impera e non certo pensando a risolvere le conseguenze negative e concrete connesse all’enorme sacca di precariato che caratterizza la scuola italiana.
Il 21 giugno prossimo la Cub Scuola, insieme con Cobas Sardegna, Unicobas, USB Scuola sarà di fronte a Montecitorio e nelle piazze delle principali città italiane contro il Decreto sostegni bis, per rivendicare con forza il diritto ad un lavoro dignitoso e per ricordare a chi ci governa che la scuola non ha bisogno di cure palliative ma di interventi seri, che restituiscano almeno le ingenti risorse che sono state sottratte negli ultimi trent’anni.
Rivolgiamo un appello a tutti i lavoratori della scuola affinché sostengano la nostra protesta: un reale rinnovamento della scuola non potrà che partire dal basso. Se siamo stanchi di sedicenti riforme confezionate dai burocrati ministeriali e non vogliamo diventare i “facilitatori” che offrono un sapere preconfezionato ed omologato lo dobbiamo dire: non ci sarà nessuna centralità della scuola se chi in essa lavora non farà sentire la propria voce, chiara e convincente.
CUB Scuola