Il piano di compilazione dei PFI è un sistema burocratizzato che mortifica la scuola nella sua essenza istituzionale, gli insegnanti nella loro professionalità e gli alunni nei loro bisogni di crescita personale.
Gli adolescenti sono persone “in divenire”, che sfuggono a qualsiasi forma di schematizzazione; è riduttivo catalogarli con una A o una B secondo criteri che appartengono a teorie psicologiche comportamentali di non comprovata rilevanza universale. Di fronte alle richieste della Riforma i docenti degli istituti professionali sono i primi a porsi interrogativi circa la funzionalità di percorsi didattici organizzati, validi in teoria, che nella pratica, invece, si esprimono in procedure meramente burocratiche:
– i giovani hanno realmente bisogno di percorsi “personalizzati” secondo schemi preconfezionati?
– E’ giusto che essi vengano inquadrati in classificazioni degli apprendimenti e valutati secondo categorie di stampo pseudo psicologico?
– Basterà una riforma a far raggiungere i risultati sperati ?
– E se, per elaborare i modelli di raccolta dati richiesti, gli insegnanti non avessero più quel tempo necessario da dedicare ai loro alunni?
– Il ruolo di tutoraggio rientra a pieno titolo in quello dell’insegnante? Sebbene non sia una prerogativa contrattuale con cui i docenti vengono assunti, essi hanno sempre svolto, verso i loro studenti, funzioni che vanno al di là della professione ufficiale. Nessuno se n’è mai accorto? Ora, però, si chiede loro di implementare il lavoro didattico facilitando i processi di apprendimento ( tutor) e contemporaneamente di dedicarsi all’insegnamento a livello professionale (docente) ;
– E l’eventuale responsabilità di obiettivi non raggiunti su chi ricade?
– Gli istituti professionali sono le scuole che hanno il maggior numero di alunni con bisogni educativi speciali; gli insegnanti di sostegno svolgono un lavoro prezioso, insostituibile; il loro carico didattico è già importante, ha davvero bisogno di ulteriori incombenze formali?
Gli insegnanti sanno che i giovani hanno la necessità di studiare e di riflettere, di comprendere per valutare, di ascoltare e meditare, di leggere a voce alta … Hanno perso l’abitudine di pensare e ora la riforma dei Professionali li vuole “bravi” nelle competenze!
Ricordiamoci che il “saper fare” viene solo dopo il “sapere “ e il “saper essere”!
Con l’attivazione di processi scolastici burocratici gli insegnanti si riducono a meri esecutori di dati informatici e il significato di ciò si inserisce solo in una logica di mercato: le competenze, infatti, sono richieste dal “mercato”, che regola, purtroppo, processi economici e non.
Una scuola burocratizzata ha smarrito la propria identità di agenzia educativa perché non fonda più i suoi principi sul DIALOGO ma su lungaggini omologanti. Dove c’è burocrazia c’è incapacità istituzionale di calibrare gli interventi.
Francesca Ritorto
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