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Fanno bene i partecipanti all’incontro Promuovere la cultura della pace in un mondo in guerra a richiamarsi alle parole del presidente Mattarella per ricordarci il principio della risoluzione delle controversie senza il ricorso alla violenza.
Circa l’uso delle armi e il ruolo dell’ONU tuttavia occorre non essere troppo ingenui. Anche il nostro Paese si è impegnato di recente ad aumentare le spese militari in ambito NATO, e non certo per fomentare la guerra. Solo dissuadendo gli aggressori o sconfiggendoli è possibile tutelare la pace. Il nazismo ai suoi tempi fu battuto militarmente. Se oggi non venisse rifornita di munizioni, l’Ucraina verrebbe distrutta. Senza armi Israele non potrebbe eliminare Hamas, anzi non avrebbe potuto neppure fermare il pogrom del 7 ottobre.
Quanto all’ONU, in fondo è una fortuna che il suo segretario generale non possa prendere decisioni di rilievo. Basti ricordare che quello attuale, Guterres, è arrivato a sostenere che i citati attacchi di Hamas non sarebbero “avvenuti nel vuoto”, quasi a volerli giustificare. Più di recente ha chiamato “punizione collettiva” la necessaria risposta militare di Israele, rispettosa del diritto internazionale e attenta a salvaguardare i civili. Senza contare che dipendenti dell’UNRWA sono risultati coinvolti nelle stesse pratiche stragiste. Le sue scuole non solo educavano i giovani all’antisemitismo ma nascondevano armi. E scuole, case e ospedali piegati a usi militari sono legittimi obiettivi per chi deve difendersi.
Comunque né l’ONU né il nostro Presidente hanno mai escluso ogni impiego delle armi. Mattarella ha dichiarato che non basta invocare la pace, essa va perseguita dai Governi, anzitutto da quelli che hanno scatenato il conflitto. Se Putin ritirasse le sue truppe dall’Ucraina e deponesse le armi, avremmo subito la pace ai confini dell’Europa. Se Hamas liberasse gli ostaggi e si arrendesse, anche in Medio Oriente finirebbe la guerra.
A leggere l’utile cronaca su Gaza e cessate il fuoco, invece, non si può che restare sconcertati: tanti giovani, benché abbiano la fortuna di vivere in contesti democratici, rispettosi dei diritti umani e permeati dalla libera circolazione delle idee, si abbandonano a slogan estremistici. Nei cortei trascinano persino i bambini, impedendo loro di frequentare la scuola. Chiedono il cessate il fuoco a Israele e non a Hamas. Ripetono i presunti numeri di innocenti palestinesi uccisi diffusi dai terroristi. Usano parole come “massacro” o addirittura “genocidio” in modo sconsiderato. Nessuno di loro peraltro menziona il 7 ottobre. Ignorano le cause e dunque stravolgono il senso degli effetti, scambiano tra loro vittime e carnefici. Reclamano una Palestina senza ebrei dal fiume al mare: di fatto una nuova Shoah.
Probabilmente molti di loro neppure comprendono quel che dicono. Perlomeno vogliamo sperarlo. Qui allora dovrebbe inserirsi un’autentica educazione civica, per combattere la disinformazione, il pregiudizio, la propaganda d’odio.
Andrea Atzeni
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