Ci sarà tempo nei prossimi per leggerlo più accuratamente e approfondire alcuni dei contenuti, ma per intanto ci sembra importante dare conto anche solo sommariamente del documento approvato dai partecipanti al tradizionale Convegno biennale sull’inclusione, promosso da Erickson a Rimini.
Anche quest’anno, dal 17 al 19 novembre, alcune migliaia di docenti, dirigenti, operatori della sanità e dei servizi sociali hanno preso parte con impegno e interesse ai lavori.
Sono state giornate intense di confronto e di approfondimento, ma anche di analisi degli scenari di criticità, che non sempre favoriscono l’inclusione scolastica e sociale dei nostri bambini e giovani con disabilità.
Nelle diverse sessioni del Convegno (il primo senza la presenza del pedagogista Andrea Canevaro, morto un anno e mezzo fa) si è discusso molto di uno temi che à sotto gli occhi di tutti: in poco meno di 20 anni la popolazione studentesca con certificazioni di disabilità è praticamente raddoppiata.
“Forse – si legge nel documento conclusivo – dovremmo non accontentarci dal pensiero che ciò dipenda da una migliore capacità diagnostica, quando meglio indagare un fenomeno più complesso, legato all’attuale idea di malattia e di salute, fino ai miti transumanisti della perfezione umana e di una cura medica per tutto. Questo tumultuoso e frenetico aumentare di quelle che vengono definite “difficoltà” dei nostri bambini e dei nostri giovani si è correlato ad un disordinato modo di gestire le risorse del personale docente ed educativo, creando incertezze, improvvisazioni, conflitti permanenti”.
Uno degli “slogan” su cui si è trovato un accordo generale è che “’inclusione è compito di tutti”.
“L’inclusione – si legge infatti nel documento – è questione di tutta la comunità scolastica: dai docenti ai collaboratori scolastici e agli assistenti educatori, passando per il dirigente scolastico”.
E ancora: “Già alcuni anni fa a Rimini abbiamo avuto occasione di riflettere sulle cosiddette cattedre miste. Fu un dibattito acceso, ricco di spunti, vivacemente interessante. Ma su questo punto, è giunto il momento di andare oltre. C’è il rischio che il concetto di misto diventi mera questione meccanica di spartizione di ore e di tempi disciplinari. È giunto per noi il momento di lavorare intensamente per creare le condizioni affinché l’inclusione impegni e occupi tempo, competenze e azioni operative di ogni docente”.
Concludono i promotori dell’iniziativa: “Stiamo quindi lavorando lungo l’idea di ridefinire la formazione l’organizzazione del lavoro degli insegnanti in chiave fattivamente inclusiva, che vada anche oltre stereotipi o luoghi comuni, ma che diventi un costume etico professionale, indispensabile per tutti, in quest’epoca altamente complessa e particolarmente difficile”.
Si tratta insomma di promuovere la “cattedra inclusiva” per andare oltre.
“Per operare quel salto di qualità ulteriore – si spiega infine nel documento – è necessario promuovere una scelta ancor più radicale in prospettiva inclusiva, attuabile mediante la generalizzazione di un’esperienza che ci piace chiamare ‘cattedra inclusiva’: con essa, si attuerà una nuova organizzazione che, gradualmente, vedrà tutti i docenti della scuola italiana impegnati in un incarico flessibile e polivalente, nel quale una parte delle ore di servizio saranno impiegate in attività disciplinari e una parte in attività di sostegno”.
E c’è anche chi pensa che questi princìpi possano essere tradotti in un progetto di legge, in modo da rimettere la scuola al centro delle politiche inclusive, affinché l’inclusione costituisca fattivamente: (come scriveva Andrea Canevaro) “… un’occasione straordinariamente utile per accrescere il benessere di giovani che stanno maturando nell’apprendimento e per l’apprendimento, per aiutarli a realizzare il loro progetto di vita. Ciascuno ha il proprio progetto di vita, ma deve essere consapevole che esistono gli altri.”