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Coordinatore di classe, un docente: “Peccato. Anch’io avrei voluto avere l’incarico. Non ho osato chiederlo”

Peccato. Anch’io avrei voluto avere l’incarico. Non ho osato chiederlo per la mia bassa frequentazione dell’alta tecnologia o, forse, perché, avendo già provato tale ruolo in passato, mi era sembrava noioso e poco adrenalinico.

Scusatemi non ho detto l’argomento del mio pensiero. Mi riferisco al Coordinatore di classe. Sì, alcune volte, in un lontano passato, mi è stato proposto e l’ho accettato. Nulla di rilevante. Curare un po’ di più la classe. Niente di avvincente. Per questo forse, non ho più richiesto questo leggero fardello.

Ma ora, cari miei, tutto è cambiato. Ora il coordinatore veramente lavora, quasi come uno schiavo o un manager privato, mai ha un attimo di sosta, sempre in azione per soccorrere, aiutare, proteggere, chiarire, dettagliare, precisare salvare. Quasi un supereroe. Vola da un problema all’altro Pronto a mediare tra colleghi, alunni, genitori (pretensiosi) e Grandi Dirigenti. Sempre in movimento (di qua, di là, di su, di giù)

Non è cosa da tutti. Ci vogliono precise capacità e continua disponibilità (e un fisico speciale). E la parte burocratica? Ne vogliamo parlare. Bisogna ottemperare a obblighi amministrativi, non da poco, anzi spesso complicati (quasi è doverosa una laurea specifica) e avere conoscenze approfondite di psicologia o problemi dell’adolescenza.  Se non c’è attenzione meticolosa e massima precisione si rischia l’infrazione.

Il fatto più singolare e affascinante è che, una figura così importante (fondamentale) per non far seccare la scuola, non è giuridicamente prevista (così pare) né normativamente regolata. Potremmo anche dire, neppure è veramente pagata. Insomma non è un incarico, è una missione. Occorrono uomini e donne speciali (santi e martiri) disposti ad immolarsi per il bene dell’umanità. A questo punto, penserà il lettore capitato per caso in questo sfogo amaro, questo non un incarico e proprio un ‘intero’ lavoro. Caro e unico lettore, sarebbe troppo bello e semplice.

I docenti (donne e uomini intrepidi) non si limitano solo a  questa appendice lavorativa (che richiede attenzione estenuante, un costante uso dello smartphone e ore da  passare, con precisione, ad approntare P.E.I. o altre protezioni per gli alunni bisognosi). Scherziamo! Si soffre fino in fondo e, oltre questo duro e avvolgente impegno di ‘volontariato’, devono portare avanti il lavoro per cui hanno studiato: insegnare. 

E sì, ci vuole proprio un fisico speciale. Altrimenti si rischia l’infarto. Proprio un peccato non aver fatto domanda per coordinare e rischiare. Pazienza, per una piena dedizione, senza condizione, c’è sempre tempo.

Un altro annone sono ceto, non mi lascerò scappare questa eroica occasione.  O no!

Ceriani Andrea

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