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Copiare agli esami? È come evadere le tasse, perché si sfruttano i sacrifici altrui

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Secondo un sondaggio di qualche anno fa, su cui fra l’altro all’epoca ci siamo intrattenuti, agli esami di stato sembra che quasi il 60% dei diplomandi (in un modo o nell’altro, con un marchingegno o l’altro) abbia copiato gli scritti.

Questo dato tuttavia non lascia alcuna perplessità né indignazione né meraviglia, perché in Italia copiare i compiti dai compagni o portarsi da casa il materiale adatto all’uopo, frodando chi sgobba, è giudicato come atto di furbesca intelligenza e non una mascalzonata, simile per certi versi alla costumanza dell’evasore fiscale che sfrutta l’onesto sacrificio di chi lavora usufruendo però proditoriamente dei servizi che l’altro paga. 

In altri termini: come atto di sciacallaggio è quello dell’evasore fiscale, che per giunta si vanta di sfruttare i servizi pagati dagli altri con le tasse, ugualmente scorretto dovrebbe essere giudicato chi copia dai compagni o da elementi esterni, ottenendo la promozione sui sacrifici degli altri e poi magari vantandosene con spocchia. 

In entrambi i casi qualcuno ha strappato ad un altro un merito che non gli appartiene, similmente al furto e similmente all’evasore e similmente al giudizio sul compito scritto.

Furto di servizi da parte dell’evasore fiscale, furto di competenze, meriti e perfino anche di carriera da parte di chi copia, ma nessuno in Italia si meraviglia, anzi ne viene elogiata la pratica.  

Ma non solo. Sono molti gli influencer o i personaggi dello spettacolo che, raccontando della loro esperienza scolastica, sottolineano le furberie adottate ai danni del solito secchione e sgobbone senza fortuna, sfruttato regolarmente dalla loro astuta bravura. 

Per questo lasciano indifferenti gli appelli al merito e alla meritocrazia soprattutto quando questi inviti scendono da ambigui pulpiti o quando si sentono politici, ignoranti per lo più, per i quali aveva una laurea conta poco, visti i successi raggiunti senza perdere tempo sui libri o all’università.

A queste dichiarazioni di spocchia pochi sembra facciano caso, giudicandole appunto di normale prassi tanto che, anni addietro, qualcuno pensò persino di presentare una legge apposita per regolamentare le raccomandazioni, secondo il principio: visto che si raccomanda, discipliniamone le forme. Non ne fece nulla, perché quel saggio deputato pensò: fatta la legge trovato l’inganno, e come si può fare una legge che inganni l’inganno?