In Italia, dice il Corriere, i bambini che copiano arrivano al 34% già alle elementari, senza tenere conto, a parere del sociologo, che “I raggiri scolastici sono delle vere e proprie prove generali d’illegalità, ma vengono rappresentati come gesti sporadici insignificanti o episodi di costume e di folklore”.
Per questo allora, più che intensificare i controlli, installando marchingegni tecnologici sugli edifici scolastici, per impedire ai ragazzi di copiare agli esami di Stato, sfruttando telefonini e smartphon, sarebbe opportuno una sorta di svolta culturale che consideri finalmente ignominiosa la scopiazzatura, una sorta di furto del sacrificio altrui. Una battaglia insomma per assegnare il suo vero negativo valore all’atteggiamento di “comprensione” nei confronti degli studenti copioni, una lotta ferma contro la tendenza a considerare inutilmente fiscale il rispetto delle leggi e persino a giustificare o a tollerare indebiti aiuti, compreso passare ai propri allievi traduzioni e soluzioni, come sottolineano schiere serie di docenti.
Una inversione di tendenza di carattere culturale insomma piuttosto che di “polizia tecnologica” anche perché, e soprattutto, la scuola è il luogo deputato alla legalità e al rispetto delle regole, per cui continuare a parlare di merito, di lealtà, di responsabilità senza una effettiva applicazione nella prassi appare diseducativo e non credibile.
Fra l’altro il Consiglio di Stato si è schierato dalla parte dei copioni, con una sentenza che dichiara illegittima l’esclusione dagli esami di una candidata sorpresa a copiare da un palmare.
In ultima analisi, dunque, permettere ai ragazzi di copiare agli esami ha la stessa identica valenza della tolleranza abulica e delle mancate denunce agli evasori fiscali che, sulla pelle degli altri e sui sacrifici di chi paga, usano i servizi dello stato. Per questo, più che richiedere sorveglianze tecnologiche, la scuola ha il dovere di scoraggiare e di punire in qualche modo chi copia, perché costui non fa altro che sfruttare il lavoro e il sacrifico degli altri a suo vantaggio, senz’altro mettere sul tavolo che la propria ignava ignoranza e la neghittosità.
Il nuovo impegno culturale della scuola sta allora nel chiedere conto e far pagare il disimpegno e il disinteresse, per favorire e premiare chi si impegna, chi studia, chi si sacrifica in attesa del dovuto riconoscimento che non può essere condiviso con alunni irresponsabili, inattivi, e, più che asini, sciacalli pronti a ghermire il sacrificio altrui.
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