I lettori ci scrivono

Coronavirus e didattica a distanza, “con rabbia e con amore”

In questa emergenza pandemica, ci viene chiesto, con circolari e provvedimenti forzati, di dimostrare al mondo che i docenti e tutta la scuola italiana sono fattivamente presenti e attivi.

Ci viene chiesto, anche, di coinvolgere le classi in una didattica a distanza mai sperimentata, sottolineando l’importanza di far sentire la nostra presenza agli alunni.

Veniamo chiamati ad utilizzare i mezzi a nostra disposizione, cavalcando la rete su piattaforme e percorsi che non conosciamo.

Spinti allo sbaraglio, dalla mano dell’ipocrisia e incoerenza politica, per presentare al mondo l’Italia che lavora, pretendendo quello per cui non siamo mai stati preparati. Per decenni abbiamo gridato all’unisono, da nord a sud, la necessità di prestare attenzione a quello che l’istruzione rappresenta o dovrebbe rappresentare in una Nazione.

Abbiamo chiesto la considerazione che la scuola italiana meriterebbe, in quanto può vantarsi di un corpo docenti invidiabile e di alto livello intellettuale. Chi lavora nella scuola sa delle problematiche quotidiane legati a tagli economici continui, a fondi mai disponibili, a strutture ed infrastrutture fatiscenti, a mezzi e materiali obsoleti e del tutto inadeguati, sottolineati da una continua e corale richiesta di cambiamento e/o rinnovamento e da un assordante silenzio di generazioni in evoluzione.

Nessuna formazione sulla didattica a distanza è stata dedicata e pensata per la scuola e per il personale scolastico, solo tagli. La realtà, per la maggior parte dei casi, è fatta di reti wireless mal funzionanti o non adeguate, di computer d’annata e non sufficienti alle reali esigenze, di fondi limitati e mai disponibili, di lavoro sommerso, di stipendi umilianti e di gran lunga al disotto delle medie europee.

Eppure, in questo scenario profondamente mortificante, noi docenti di qualsiasi ordine e grado, abbiamo, comunque, garantito l’istruzione ad un intero Paese, chinando la testa anche ai “contentini” contrattuali. Ci siamo sempre presentati al lavoro per il piacere e l’amore di farlo. Per la grande soddisfazione di vedere le facce allegre o musone dei nostri discenti. Abbiamo intuito, compreso e, a volte, risolto le loro problematiche esistenziali legate a famiglie quasi sempre più inadeguate, smarrite e, a volte, inesistenti.

Ci siamo e vogliamo continuare ad esserci. Siamo stati affianco ai nostri alunni e con loro abbiamo sofferto le ristrettezze di non avere una palestra, un laboratorio o le attrezzature adeguate che la legge dovrebbe garantirci, in aderenza e rispetto al diritto costituzionale allo studio.

Noi, donne e uomini della scuola, docenti, dirigenti, personale ATA, direttori, segretari, applicati ecc., abbiamo sorretto questa sgangherata Istituzione, emarginata e con indifferenza calpestata dalla politica del passato e del presente. Oggi, ci viene chiesto con toni perentori, così come la necessità del momento prevede, ma non giustifica, di essere vicini ai nostri alunni e di sostenere la scuola utilizzando mezzi e materiali disponibili in rete: E-learning, Classroom, piattaforme digitali, link e quant’altro pur di coinvolgere quanti avessero voglia di seguire la didattica a distanza, facendo forza su mezzi e iniziative personali degli insegnanti e sulla loro voglia di essere comunque presenti.

Tutto ciò è lecito, sia per dovere istituzionale e anche perché il garbo e l’intelligenza dei nostri dirigenti (almeno la mia) ha lasciato la possibilità, non l’obbligatorietà, di azione e iniziative. Non posso, però, come docente non indignarmi di fronte alle tante note del MIUR , come ad esempio la n°318 dell’11/3/2020, dove veniva chiesto ad ogni scuola di monitorare tutte le classi per sapere: “quanti alunni possono contare su dispositivi elettronici (smartphone, pc, tablet, ecc.). Quanti alunni possono contare su dispositivi elettronici e collegamento internet. Quanti alunni stanno effettivamente seguendo ed effettuando la didattica a distanza. Quali strumenti stanno utilizzando i docenti del Consiglio di classe (oltre all’uso del R.E.) per la didattica a distanza.”

Informazioni dove il MIUR sottolinea l’obbligatorietà e l’urgenza di trasmissione, ignorando che tutto quello che viene chiesto di sapere dovrebbe già essere da anni bagaglio a seguito di una scuola nuova e, soprattutto, innovativa. Paradossalmente stiamo assistendo all’ammissione implicita del Governo di non aver mai dotato le scuole degli indispensabili mezzi e materiali dei quali non si può oggi fare a meno.

L’altisonante Ministero Istruzione Università e Ricerca, scarica sulla scuola e sui docenti le proprie colpe e superficialità, che da decenni hanno seppellito il sapere di un popolo. Relegato nel mio sconforto, ribadisco: dove si trovava il MIUR e dove sono stati i nostri politici in questi ultimi decenni, quando gli abbiamo con forza urlato nelle orecchie la necessità e l’urgenza di una scuola diversa, nuova, adeguata, in linea con le esigenze di chi continuava a crescere e cambiare, reclamando informazioni, formazione, e, soprattutto, attenzione?

Tutti i docenti, oggi, con iniziative personali o collegiali, in un rispettoso silenzio, stiamo lavorando come abbiamo fatto sempre, con la piena coscienza e consapevolezza che senza la scuola il nostro Paese sarebbe stato un deserto culturale, come le menti di alcuni politici.

Nicola Belfiore

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