Il momento di emergenza, con le scuole impegnate ad attivare, come da decreto del governo, la formazione a distanza, con l’ausilio degli strumenti digitali, sta costringendo i nostri docenti a rincorrere usi il più possibile efficaci di questa nuova didattica, con corsi di formazione intensivi da parte delle stesse scuole.
Dall’altra i nostri ragazzi, pressanti dai genitori perché non brucino il loro tempo e prendano sul serio le proposte delle scuole, costretti ad un uso diverso, direi attivo, degli strumenti che hanno per le mani.
Questa emergenza, mi verrebbe da dire, fa emergere dunque un paradosso: quanto sia importante, prioritaria, la scuola viva, cioè il contatto diretto, anche il solo guardarsi negli occhi, le mille relazioni della scuola vecchio stampo.
Così gli stessi ragazzi, nati digitali, possono capire il primato delle relazioni umane, il valore, al contempo, strumentale di quegli stessi strumenti che riempiono la loro vita, reale e al tempo stesso virtuale.
Che sia un modo indiretto perché comprendano che la tecnologia è si, oggi, insostituibile, ma mai la spina dorsale della vita, della loro vita?
La tecnologia, cioè, non è e non potrà essere una parte del loro sè.
Con la didattica a distanza, in poche parole, attivata in questa emergenza, gli stessi studenti sono costretti a comprendere che questi aggeggi, che le varie piattaforme possono aiutare, possono contribuire a migliorare i processi di conoscenza e di relazione, ma non potranno mai diventare forme primigenie, addirittura esclusive.
La scuola, così, in questo momento li sta aiutando a comprendere che porre dei limiti all’utilizzo della tecnologia non vuol dire menomarli di una parte di sè, del profondo di se stessi.
La scuola in questo frangente sta dimostrando loro che anche la tecnologia va mediata, va inserita in un contesto valoriale di consapevolezza, quindi di libertà.
Se, cioè, i nostri ragazzi sono nati all’interno di un mondo, diverso dai loro genitori come dai loro docenti, che non ha chiara la distinzione, per l’uso delle tecnologie, tra mezzo e fine (una distinzione non chiara nemmeno nei corsi e nei testi di tecnologia didattica), quale migliore luogo, come la scuola, per aiutarli a comprenderlo, quel limite, tra mezzo e fine?
Anche nella vita di classe, dunque, c’è un tempo per tutto.
Compito della scuola è educare ad un tempo intelligente, cioè capace di tradursi in domande di senso e di significato, senza nemmeno subire gli strumenti oggi offerti dalla tecnologia, i quali non vanno nè esaltati nè demonizzati.
Per cui, è sempre bene diffidare dai facili odierni profeti anche del tecnologismo fine a se stesso, come se una macchina potesse sostituirsi al flusso delle nostre coscienze. Stupida illusione.
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