I lettori ci scrivono

Coronavirus, il mondo oggi assomiglia ad unico respiro

Il mondo oggi somiglia ad un respiro. E quanto vorrei che per ognuno fosse il silenzio quasi assoluto dell’aurora del mondo. Purtroppo è un respiro di paura mista alla speranza o meglio alla attesa. Attesa che tutto passi e velocemente: e come un guardare al cielo aspettando che il sole sorga all’alba del nuovo giorno e porti con sé il messaggio che sarà un giorno senza pioggia senza vento, senza soprattutto freddo.

Il mondo oggi somiglia ad un respiro. In tale attesa che è poi sospensione, prima di ogni detto sulla terra, sta una nube, un’aria quasi immobile. E noi forse a iniziare a chiederci come parlare, come parlarci senza prendere il soffio di ognuno e di tutti. Il soffio di questo silenzio. Disporre così finalmente un luogo di pensiero, di pensare a sé stessi e all’altro, agli altri, a ciò che ci riunisce e ci allontana o ci ha fin qui allontanato, all’intervallo che ci permette di divenire, alla distanza necessaria per finalmente l’incontro. E tutti ed ognuno andiamo a respirare fuori, riflettere con la terra, l’acqua, gli astri, e cominciamo finalmente ad amare, amare noi stessi, amare l’altro, gli altri: un ritorno verso me, un ritorno verso il mondo: un sentimento, una volontà, una intenzione, per adesso, per domani, per tutto il tempo che resta. Che ci resta. Senza più appropriazione, senza più perdita di identità, ma semplicemente riconoscimento e riscoperta della nostra natura che ci permette sempre e ci chiama sempre UOMINI: dinamica dell’esistente (il vivente) minacciato nella sua umanità.

Il mondo oggi somiglia ad un respiro. E quanto vorrei che per ognuno si scopra la bellezza e la novità di un nuovo modo di guardarci, e scoprire in questo sguardo, nel volto dell’altro, degli altri, la nudità d’essere, la vulnerabilità, la fragilità, esposizione possibile all’annientamento, denuncia dunque alla autoreferenzialità che adesso viene consapevolizzata al pensiero che noi, io, l’altro, gli altri, siamo realtà inesauribile e imponderabile. Con allo sfondo dunque la consapevolezza sui guasti causati dalla mentalità eurocentrica, metafisica, logocentrica, che sta all’origine della tragedia della nostra civiltà, ma anche la bellezza che si scopre al fondo e dal fondo: la bellezza che vincerà il mondo, e per la quale e grazie alla quale, l’altro, gli altri, non potranno che apparire alter ego, l’altro, gli altri da me, a partire da me. Egli, Loro, sono il “volto” che frantuma ogni certezza di sé: noi siamo tutti ex di qualche storia passata, siamo portatori di storie intessute di sofferenze quasi mai sanate. La nostra stessa memoria ne custodisce l’anima segreta, compreso il valore insostituibile di vicende che, nel “colpire” in profondità, ci fanno conoscere ambiti inesplorati e prima inaccessibili.

Quello che vediamo replicarsi in questo oggi di globalizzazione e modernità è la triste celebrazione del linguaggio del consumismo dell’individualismo dell’affettività virtuale, e di un potere politico ed economico che hanno fin qui ignorato il richiamo incarnato delle Voci del mondo. Voci che sono riconoscimento ad una società a-venire, all’utopia di un non-luogo.

Terra, tu che mi ospiti ma con cui non condivido, tu che sei feconda di tanti e tanti figli, che non si assomigliano, tu che cresci senza tregua, sia in segreto che alla luce, tu che porti il seme, il fiore il frutto, tu che mai ti fermi nel respirare la vita, tu che a ogni epoca dell’anno lavori al divenire del vivente, lasciando salire o scendere di nuovo la linfa, trattenendola dallo spendersi fuori di te, salvo che per frutto maturo, Terra, tu che sei ancora prodiga di sole quando viene il gelo, Terra, salvaguardami, fedele. […].

E’ il tempo dell’incompiuto, della meraviglia. La vita cammina in punta di piedi. Il silenzio persiste nonostante i canti degli uccelli. Ciò che cresce non tutela forse così il suo futuro? Esistono nella primavera distanze invalicabili. Nessuno spazio è già pienamente occupato, ma gli spazi non sono vuoti: sono abitati da una crescita invisibile. Laddove sembra che nulla esiste, resta una presenza, o mille. L’uno è, e il molteplice; l’uno è il molteplice. Ma la separazione non è ancora accaduta. Le radici terrestri e le radici celesti si uniscono senza usurpare gli altrui limiti. Ciascuno, ciascuna rimane nel luogo della sua nascita, ma tutto si apre”. (da “Essere Due”, Luce Irigaray).

Noi siamo questa Terra. Siamo la Terra. E questa è sarà sempre la nostra Primavera. Noi siamo dobbiamo essere sempre e comunque Primavera. Noi siamo Umanità.

Coraggio e non perdiamo mai la serenità della speranza. Il futuro ci attende.

A tutti i miei colleghi docenti sparsi nel territorio di questa pur sempre bella e meravigliosa nostra Italia.

Mario Santoro

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