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Coronavirus, interrompere l’attività didattica. Come in estate

Sono rimasto sconcertato, nonostante sia uno stagionato sindacalista rotto ormai ad ogni sorta di burocratese, dalla lettura della lunga tiritera di indicazioni contenute nelle sette pagine della circolare emanata ieri dal MIUR, che per la gestione dell’emergenza COVID pretende di fornire particolari disposizioni applicative della direttiva del Ministro per la Pubblica Amministrazione (25 febbraio 2020, n. 1).

Il documento, a firma della dott.ssa Giovanna Boda, Capo dipartimento per le risorse umane, finanziarie e dal suo capo dipartimento dott. Marco Bruschi, dovrebbe trovare attuazione in pratica nei cinque giorni in cui le scuole resteranno chiuse anche nelle regioni e delle province non dichiarate “rosse”.

Nella dichiarata intenzione di attenersi alle disposizioni relative alla generalità delle amministrazioni pubbliche sul caso COVID, i burocrati del Ministero per l’Istruzione si sono dimenticati dei canoni fondamentali della didattica e soprattutto dell’obbligo di offrire a tutti gli studenti parità di condizioni nella fruizione del servizio scolastico.

In sostituzione dell’attività in presenza, nel nome del diritto all’istruzione il Ministero vorrebbe attivare d’emblé in tutto il territorio nazionale un meccanismo a cui attualmente almeno novanta scuole italiane su cento non sono in grado di far fronte. Stesso discorso e forse in misura maggiore per le famiglie.

La circolare invita le istituzioni scolastiche ad attivare le modalità di apprendimento a distanza, ottimizzando le risorse didattiche del registro elettronico e utilizzando classi virtuali e altri strumenti e canali digitali per favorire la produzione e la condivisione di contenuti.

Et voilà! Ecco il surrogato che fa svanire la forza della vicinanza. Questa significa stimolo, aiuto e rispetto dell’altro.

Il rapporto insegnante/alunno, nel particolare periodo che va dall’infanzia alla preadolescenza, si basa essenzialmente sulla vicinanza fisica che si concretizza in un ambiente particolarmente adatto al bambino, che ne stimoli l’attenzione, ne supporti la creatività e aiuti la sua mente ad apprendere.

La distanza dall’aula, dai compagni e dal maestro  annulla il fascino della relazione educativa, che trova  la sua  valenza  nel linguaggio del corpo , nel faccia a faccia, nel mano nella mano e nel discreto orchestrare del maestro di fronte al gruppo che gioca, e giocando lavora.

Ciò, a maggior ragione, vale per le attività finalizzate all’accoglienza e all’inclusione di alunni con bisogni educativi speciali. Per questi ultimi come per quelli il cui livello di apprendimento è inferiore rispetto ai più bravi, la presenza fisica del maestro assume un ruolo primario per creare quel rapporto empatico essenziale a tali livelli. Giocando con le parole potrei dire che la lezione a distanza fa crescere le distanze tra questi ragazzi ed i cosiddetti “migliori della classe”.

Inoltre il Miur vorrebbe che la comunità educante offrisse “esperienze di mutuo aiuto e di formazione peer to peer, dimenticando che i meccanismi che caratterizzano le sperimentazioni di questo tipo, passate e recenti, richiedono tempi lunghi e particolari attitudini, e non sono generalizzabili.

Da quanto ho detto finora, spero che sia chiaramente emerso che non sono un entusiasta della formazione a distanza, ma concedo solo che può avere un minimo di efficacia in presenza di strutture adeguate, solo per l’ultimo grado d’istruzione e per l’università. Aggiungo che alle attività didattiche in presenza, si può ovviare (e nelle zone rosse si deve) solo in quei pochi istituti superiori già dotati degli strumenti adatti allo scopo e delle risorse umane adeguatamente formate. In questi rari casi il sistema funge da supporto e non da sostituto dell’attività in presenza.
Non trascuriamo inoltre che il meccanismo deve contare sulla collaborazione delle famiglie e degli stessi studenti.

In proposito un esempio emblematico viene dall’allarme della dirigente dell’Istituto Comprensivo “Giovanni Falcone”, situato  nel quartiere Zen 2 di Palermo, che segnala che nessun alunno della sua scuola possiede un PC. Per evitare di lasciare per strada i ragazzi, tutti ad elevato rischio criminalità, si accontenta di tenerli impegnati usando Whatsapp e Facebook per postare gli argomenti da studiare.

Esprimiamo solidarietà alla Preside, costretta a scegliere il male minore, che però può ritenersi “fortunata” perché gli alunni appartengono tutti allo stesso “ceto”. Tra loro non c’è rischio di gap. Magari da quelle parti, come pure in quelle con  lo stesso clima, le lezioni in presenza potranno riprendere in adeguati spazi all’aperto. Comunque la sorpresa del virus non può giustificare la discriminazione.

Questa discriminazione deriva anche da problemi legati all’uso della  tecnologia, che non è nella disponibilità di tutti allo stesso livello (tablet, smart- phone e pc) e comporta oneri economici aggiuntivi per l’utilizzo di internet. E’ scontato che per gli alunni meno preparati si accentuerebbe il gap a livello di rendimento scolastico. A ciò si aggiunga la complicazione della  gestione dei tempi e degli spazi anche  in quelle famiglie che, nell’ipotesi più fortunata, posseggono il PC e le necessarie competenze per l’attività a distanza. Proviamo ad immaginate le acrobazie di una madre, di professione insegnante che in casa ha due figli in età scolare per i quali  debba  stabilire i tempi per l’uso del pc da collegare  con la loro scuola, e contestualmente debba dare seguito alle disposizioni ministeriale per mantenere i contatti con i propri alunni. Il supporto che i fanciulli e gli adolescenti del primo ciclo di istruzione ricevono dai loro maestri con l’insegnamento frontale non può essere surrogato dai genitori, già caricati della responsabilità del “parental controll”.

Per concludere mi permetto di definire un paradosso l’affermazione dell’attuale ministro Azzolina “la didattica a distanza favorisce la vicinanza”. Questa affermazione è la  conseguenza evidente dei condizionamenti della società liquida nell’epoca della globalizzazione. Al contrario ritengo molto propositivo il suo invito ai bambini più piccoli costretti a restare a casa per l’emergenza a “leggere le favole”.

A mia volta però invito il Ministro a bloccare il farraginoso e discriminatorio meccanismo proposto dalla burocrazia, stabilendo che la scuola va in “vacanza” fino a nuovo ordine.

Proprio così: di fronte ad una situazione di gravissima emergenza come quella che stiamo vivendo, la scuola deve interrompere le attività didattiche, né più né meno come si fa in estate, e per le festività pasquali e natalizie. Ci sarà tempo per recuperare, in presenza, al ritorno dell’auspicabile normalità.

Pensiamo quindi esclusivamente a rispettare le prescrizioni sanitarie e ad evitare che il virus si propaghi ma anche che provochi l’inquinamento della didattica.


Pierluigi  Palmieri – “CREDICI” (Coordinamenti RegionalDiritti Civili)

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