Di conferenza stampa in conferenza stampa, di decreto in decreto, la situazione si è rivelata tutta nella sua drammaticità.
Con misure eccezionali, che mai avremmo pensato di essere obbligati a seguire.
E, lo stiamo tutti avvertendo, poi non sarà più come prima.
Almeno per la percezione che l’imponderabile, l’imprevisto, l’impossibile in realtà rimangono sempre possibili.
Stiamo imparando la precarietà, la fragilità, il limite in tutte e di tutte le cose, anzitutto di noi.
A scuola, pur tra mille difficoltà, non è più lo stesso insegnare le cose di sempre.
Perché è cambiata, più che la modalità, la percezione delle cose di sempre.
Il valore delle cose di sempre, che le diverse storie culturali ci hanno lasciato in eredità, che noi riproponiamo e ripensiamo, non sono più le stesse cose di sempre.
Le tecnologie ci stanno dando una mano, ma ci rendiamo conto che non possono sostituire le relazioni, cioè il cuore vivo della scuola, della vita di classe.
L’apprendimento si è fatto precario, frammentario, ma la cornice, invece, sta assumendo un nuovo volto, molto più ricco di domande e di tentativi di risposta.
Si, l’istruzione viene in qualche modo garantita, con le relative nozioni, ma l’educazione, che vive di relazioni, invece da un lato è del tutto menomata, dall’altro si sta velocemente arricchendo di mille domande.
Nulla, perciò, sarà come prima.
Non tanto per le tecnologie, ma per queste domande.